RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
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di Città di Castello, di Spello, di Montefalco, di Todi, di
Orvieto, di Siena, di S. Gimignano e di tante altre; è
nelle loro piazze irregolari, nelle loro chiese e palazzi e
conventi e case, che si sente ancora tutta la fervida atti-
vità della vita artistica del nostro medioevo, e si respira
a pieni polmoni il sano, fresco e vivificante profumo della
fioritura maravigliosa del nostro Rinascimento.
fine.
Gennaro Bacile di Castiglione
Capitano del Genio.
LA GALLERIA ROTONDO
Con alcuni amici, in una nitida giornata decembrina,
contro il soffio gelido della tramontana — che pare ram-
menti, a ogni mutar d'anno, a Napoli l'esistenza d'un altro
immenso mondo, che è quello non della luce e dell'oblio,
ma della meditazione e della pena — fu a me ventura
potere ascender la collina che sovrasta alla città, per vi-
sitarvi la più importante raccolta che abbia Napoli della
sua arte moderna.
Ve la conserva con fervore grande d'amore, nella sua
solitaria villa alle Due Porte, un fine vecchio signore, na-
poletano per elezione, Beniamino Rotondo, fratello degnis-
simo di quel Paolo Rotondo, che insieme con lui la rac-
colse, e il cui nome suona sempre rimpianto e caro a
quanti furono napoletani che amarono la musica e ne fe-
cero pascolo della loro vita interiore.
E alla classica villa, un tempo monastero, dove ama-
rono riunirsi i due fratelli, convenivano spesso gli amici,
pittori e musicisti, a conviti geniali, dove le dispute d'arte
erano giocondate dall'aria vivida e dai vecchi vini ri-
nomati.
Ora tutto è silenzio nella rustica corte verde di un'arau-
caria e d'una tuia nel mezzo, di qualche palmizio e di radi
agrumi serrati in cerchi di tini tutt'intorno; e la casa è
piena di quadri e di vecchi istrumenti.
L'ammirabile ottuagenario che l'abita, e che conserva
ancora nella signorile persona la compostezza elegante
d'un vecchio militare, amò ritrarvisi lontano dalla folla
della città romorosa, dove gli era troppo triste di non più
scorgere i volti cari o noti de' suoi coetanei; e, sebben
lieto di lasciar visitare agli intenditori i suoi quadri, è
schivo di mostrarsi, poi che lo spazio degli anni ha affie-
volito al suo orecchio il suono della voce altrui. Ma la
sua persona riempie la casa dell'impronta che in ogni
cosa si scorge dal fine suo gusto.
Tutt'intorno alla vecchia villa, fra radi caratteristici pini
ed archi settecenteschi, si stende vario e definito il mara-
viglioso paesaggio invernale napoletano. Da una parte è il
colle di Capodimonte con le grandi ville e il verde pe-
renne dei suoi giardini, e più oltre è il vasto piano do-
rato della Campania solcato da filari di pini estendentisi
fino agli azzurri monti nevosi del Tifata e del Partenio,
del Matese e del Laburno: dall'altra, fra il Vesuvio e la
baia de' Bagnoli, sulla città sterminata e brulicante di case,
e sulla bella collina del Vomero, emerge Capri come sol-
levata dal mare.
In questa poesia di luoghi e di cose napoletane è rac-
colta la piccola ma preziosa collezione, che trae gli ama-
tori in felice pellegrinaggio sull'aperta collina, dove visse
e dipinse solitario, in altra casa poco lontana, alla quale
ogni giorno tornava col peso delle sue provvigioni come
povero operaio, il padre de' paesisti napoletani — il Gi-
gante.
E da due paesaggi del Pitloo e del Gigante s'inizia ap-
punto per epoca la raccolta napoletana del Rotondo.
E tutti ad una ad uno sfilano sulle pareti con le loro fiso-
nomie caratteristiche i rappresentanti della gloriosa scuola.
Dal Morelli e dal Palizzi, dal Dalbono e dal Michetti,
all'Altamura, al Miola, al Volpe, al Tofano, al Migliaro,
al Pistilli: pochi sono gli assenti; ma vi è in più qualche
non napoletano. Ricordo Quintilio Michetti, il Marinelli,
il Jacovacci, lo Sciuti, il Duprè, il Del Re, i due Man-
cini, Antonio e Francesco, il De Nittis, il Vertunni, lo
spagnuolo Tusquez, e qualche altro certo mi sfugge.
Non è possibile dire di tutti; ma, rammentando di pas-
saggio la fine Monaca del Tofano, il Cane del Palizzi, le
paesistiche fantasie del Dalbono, dirò solo delle ricchezze
maggiori della collezione, e cioè delle molteplici rappre-
sentanze che vi han l'arte del Morelli, del Michetti e del
Gemito.
Il Morelli vi appare da un primissimo studio pel Va-
lentino a Capua e da alcuni quadri di argomento storico-
romantico o biblico-orientale, come il Bacio di Parisina
e II giullare nella giostra (del Marco Visconti), la Moglie di
Putifarre e La tratta degli schiavi; e vi ha poi un bozzetto
bellissimo dei Martiri Cristiani, un altro della Morte del
Tasso; e vi ha infine il bozzetto della Madonna di Casa
Reale e il quadro famoso de Le Marie al Calvario. V'è poi
anche un ritratto di Don Paolo Rotondo, che può dirsi
della prima maniera morelliana. Un gruppo, insomma,
pregevolissimo di sue pitture.
Ma più importante ancora è il gruppo delle pitture del
Michetti, il quale vi si rivela in tutte le sue forme e in
tutta la sua potenza, in modo tale che dovrebbe render
lui stesso geloso di quella raccolta.
Non mai spontanea felicità di talento pittorico si rivelò
come in quelle piccole preziose carte oleate, lastre e ta-
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di Città di Castello, di Spello, di Montefalco, di Todi, di
Orvieto, di Siena, di S. Gimignano e di tante altre; è
nelle loro piazze irregolari, nelle loro chiese e palazzi e
conventi e case, che si sente ancora tutta la fervida atti-
vità della vita artistica del nostro medioevo, e si respira
a pieni polmoni il sano, fresco e vivificante profumo della
fioritura maravigliosa del nostro Rinascimento.
fine.
Gennaro Bacile di Castiglione
Capitano del Genio.
LA GALLERIA ROTONDO
Con alcuni amici, in una nitida giornata decembrina,
contro il soffio gelido della tramontana — che pare ram-
menti, a ogni mutar d'anno, a Napoli l'esistenza d'un altro
immenso mondo, che è quello non della luce e dell'oblio,
ma della meditazione e della pena — fu a me ventura
potere ascender la collina che sovrasta alla città, per vi-
sitarvi la più importante raccolta che abbia Napoli della
sua arte moderna.
Ve la conserva con fervore grande d'amore, nella sua
solitaria villa alle Due Porte, un fine vecchio signore, na-
poletano per elezione, Beniamino Rotondo, fratello degnis-
simo di quel Paolo Rotondo, che insieme con lui la rac-
colse, e il cui nome suona sempre rimpianto e caro a
quanti furono napoletani che amarono la musica e ne fe-
cero pascolo della loro vita interiore.
E alla classica villa, un tempo monastero, dove ama-
rono riunirsi i due fratelli, convenivano spesso gli amici,
pittori e musicisti, a conviti geniali, dove le dispute d'arte
erano giocondate dall'aria vivida e dai vecchi vini ri-
nomati.
Ora tutto è silenzio nella rustica corte verde di un'arau-
caria e d'una tuia nel mezzo, di qualche palmizio e di radi
agrumi serrati in cerchi di tini tutt'intorno; e la casa è
piena di quadri e di vecchi istrumenti.
L'ammirabile ottuagenario che l'abita, e che conserva
ancora nella signorile persona la compostezza elegante
d'un vecchio militare, amò ritrarvisi lontano dalla folla
della città romorosa, dove gli era troppo triste di non più
scorgere i volti cari o noti de' suoi coetanei; e, sebben
lieto di lasciar visitare agli intenditori i suoi quadri, è
schivo di mostrarsi, poi che lo spazio degli anni ha affie-
volito al suo orecchio il suono della voce altrui. Ma la
sua persona riempie la casa dell'impronta che in ogni
cosa si scorge dal fine suo gusto.
Tutt'intorno alla vecchia villa, fra radi caratteristici pini
ed archi settecenteschi, si stende vario e definito il mara-
viglioso paesaggio invernale napoletano. Da una parte è il
colle di Capodimonte con le grandi ville e il verde pe-
renne dei suoi giardini, e più oltre è il vasto piano do-
rato della Campania solcato da filari di pini estendentisi
fino agli azzurri monti nevosi del Tifata e del Partenio,
del Matese e del Laburno: dall'altra, fra il Vesuvio e la
baia de' Bagnoli, sulla città sterminata e brulicante di case,
e sulla bella collina del Vomero, emerge Capri come sol-
levata dal mare.
In questa poesia di luoghi e di cose napoletane è rac-
colta la piccola ma preziosa collezione, che trae gli ama-
tori in felice pellegrinaggio sull'aperta collina, dove visse
e dipinse solitario, in altra casa poco lontana, alla quale
ogni giorno tornava col peso delle sue provvigioni come
povero operaio, il padre de' paesisti napoletani — il Gi-
gante.
E da due paesaggi del Pitloo e del Gigante s'inizia ap-
punto per epoca la raccolta napoletana del Rotondo.
E tutti ad una ad uno sfilano sulle pareti con le loro fiso-
nomie caratteristiche i rappresentanti della gloriosa scuola.
Dal Morelli e dal Palizzi, dal Dalbono e dal Michetti,
all'Altamura, al Miola, al Volpe, al Tofano, al Migliaro,
al Pistilli: pochi sono gli assenti; ma vi è in più qualche
non napoletano. Ricordo Quintilio Michetti, il Marinelli,
il Jacovacci, lo Sciuti, il Duprè, il Del Re, i due Man-
cini, Antonio e Francesco, il De Nittis, il Vertunni, lo
spagnuolo Tusquez, e qualche altro certo mi sfugge.
Non è possibile dire di tutti; ma, rammentando di pas-
saggio la fine Monaca del Tofano, il Cane del Palizzi, le
paesistiche fantasie del Dalbono, dirò solo delle ricchezze
maggiori della collezione, e cioè delle molteplici rappre-
sentanze che vi han l'arte del Morelli, del Michetti e del
Gemito.
Il Morelli vi appare da un primissimo studio pel Va-
lentino a Capua e da alcuni quadri di argomento storico-
romantico o biblico-orientale, come il Bacio di Parisina
e II giullare nella giostra (del Marco Visconti), la Moglie di
Putifarre e La tratta degli schiavi; e vi ha poi un bozzetto
bellissimo dei Martiri Cristiani, un altro della Morte del
Tasso; e vi ha infine il bozzetto della Madonna di Casa
Reale e il quadro famoso de Le Marie al Calvario. V'è poi
anche un ritratto di Don Paolo Rotondo, che può dirsi
della prima maniera morelliana. Un gruppo, insomma,
pregevolissimo di sue pitture.
Ma più importante ancora è il gruppo delle pitture del
Michetti, il quale vi si rivela in tutte le sue forme e in
tutta la sua potenza, in modo tale che dovrebbe render
lui stesso geloso di quella raccolta.
Non mai spontanea felicità di talento pittorico si rivelò
come in quelle piccole preziose carte oleate, lastre e ta-