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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 14.1905

DOI issue:
Nr. 3
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Brutails, Jean-Auguste: Archeologie ed architetti[2]
DOI article:
Curiosità napoletane[2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.71025#0059

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

43

L'incertezza è ben altrimenti grave per ciò che riguarda
le date finali.
La simultaneità delle modificazioni, il sincronismo dei
progressi, in architettura, sono lontani, molto lontani dal-
l'essere una legge costante. Vi sono stati sempre ritarda-
tari, ligi alla pratica, tra i quali le formole d'arte sono
sussistite molto tempo dopo d'essere state abbandonate
dagli artisti progrediti; e, siccome il quadro cronologico
del quale dobbiamo determinare il valore, è stato formato
soltanto secondo le opere di questi ultimi, le date finali da
esso enunciate, per lo più, sono erronee.
Dividere la storia dell'arte edificatoria nel medio evo
in liste cronologiche, in strati successivi, distinti da forme
caratteristiche, come gli strati del terreno sono distinti dai
fossili, è un sistema comodo per l'esposizione, per l'in-
segnamento; ma, nè più nè meno che le classificazioni
logiche, il cui valore è stato esaminato più su, cotesta
classificazione cronologica è in gran parte fittizia. La stra-
tificazione non è regolare e gli strati superiori sono at-
traversati frequentissimamente da sollevamenti di strati più
antichi.
Perfino nei centri colti 0) i progressi non si sono veri-
ficati dovunque simultaneamente: all'abazia di La Sauve
(Gironda), alcune chiavi di volta hanno sculture e profili
di ogive. Le sculture sembrano rivelare un'epoca remota,
il secolo XI; ed, intanto, non possono risalire al di là
del secolo XIII, come testimonia il profilo delle ogive. Il
museo di Tolosa possiede un capitello sul quale sono scol-
piti alcuni mostri ed un cavaliere. Durante il recente con-
gresso delle società dotte, due archeologi passeggiavano
nel museo. Uno di essi scorse il capitello in questione, e,
nascondendo il cavaliere, domandò l'età di quelle sculture al
compagno, il quale rispose che risalivano certamente al-
l'epoca romana. Il primo archeologo lasciò, allora, vedere
il cavaliere, che è contemporaneo di S. Luigi, tutt'al più.
continua.
J. A. Brutails.

CURIOSITÀ NAPOLETANE
II.
Monsignor Perrelli nella storia.
Il personaggio tradizionale al quale si attribuiscono, a
Napoli, i detti e i fatti della più ingenua comicità, della
più insigne bestialità, è, com'è noto, monsignor Perrelli.
Naturalmente, i più di quegli aneddoti appartengono al pa-

li) Anthyme Saint-Paul ha trovati esempi d'ornamentazione romana
nelle parti alte di Notre-Dame di Parigi (Viollet-le-Duc et son système
archéologique, 2.# ediz., p. 260).

trimonio di comicità popolare, vero capitale collettivo, che,
secondo i varii luoghi e regioni, ora si assegna ad uno, ora
ad altro personaggio; e molti degli aneddoti che a Napoli
sono perrelliani, si raccontano anche a Venezia o a Roma,
e magari in Francia e in Germania, mutato il nome del
protagonista o del paziente U).
Ma monsignor Perrelli — su ciò non cade dubbio —
non è un puro simbolo della bestialità umana: non è un
mito, è una leggenda. Dietro ed oltre il simbolo, c'è
l'uomo certo, una persona salda, che fu centro di attrazione
della materia popolaresca, un monsignore in carne ed ossa,
appartenente a una ben nota famiglia napoletana, la fami-
glia Perrelli.
I Perrelli erano di Cava dei Tirreni, dove sarebbero per-
venuti non si sa bene se dalla Francia o da altro paese, chè
i genealogisti disputano sulla provenienza: comunque sia,
a Cava se ne hanno memorie già nel secolo XIV. Nel
1536 un Alfonso Perrelli ebbe da Carlo V privilegio di
nobiltà col diritto di porre nel suo stemma l'aquila a due
teste. Un Fabio Perrelli, intorno alla metà del secolo XVII,
fu fatto duca di S. Caterina, in Calabria. Un nipote di
costui, Domenico, acquistò il titolo, che, come vedremo
più oltre, è ancora nella famiglia, di duca di Monasterace.
Parecchi anni fa, messomi in qualche ora di ozio a per-
correre l'albero della famiglia e a rischiararlo con le me-
morie serbateci nelle cronache e in altri documenti, per
cercare in esso il famoso monsignore della tradizione, mi
capitò un caso curioso. Invece che ad una, mi trovai in-
nanzi a due bestie celebri, a due personaggi entrambi con
documentate caratteristiche d'imbecillità, recanti il titolo
di monsignori Perrelli, e concorrenti perciò insieme allo
storico posto di collettori ed accumulatori della leggenda!
Tanto che restai qualche tempo incerto qual fosse colui
che dette l'impulso vero e proprio alla formazione; benché
alla fine mi risolvessi, con buoni argomenti, pel più antico
di essi, che presento pel primo.
Si chiamava monsignor Filippo Perrelli: viveva intorno
alla metà del secolo XVIII: era prelato e teologo di Sua
Eminenza il cardinale Spinelli, arcivescovo di Napoli, e
aveva la dignità di abate di S. Maria a Cappella.
Egli nasceva appunto da quel Domenico, di cui abbiamo
fatto cenno, il quale aveva comprato il feudo di Mona-
sterace in Calabria, coi suffeudi di Ragusa e Tomacelli, e

(1) Vedi in proposito un articolo di Gaetano Amalfi, Detti et
Fatti Memorabili Del Molto Reverendo Monsignor Perrelli Abbate Di Nes-
suna Abbazia, nel Giornale napoletano della domenica, anno I (1882),
n. 48. Vi è anche un'altra raccolta di facezie di Guglielmo Méry,
Monsignor Perrelli, Napoli, 1878; ma è cosa sguaiata, piena d'inven-
zioni individuali del Méry.
 
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