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NAPOLI NOBILISSIMA
Alcuni avanzi delle tombe di Palepoli.
Dal Pungolo, del 3 agosto, togliamo:
« L'ing. Carlo Giovene ha consegnato ieri al prof. Dall'Osso, per
essere immesso nelle collezioni preistoriche del nostro Museo, un va-
setto greco (vinochoe a bocca rotonda od olpe) a vernice nero-lucida,
lavorato al tornio, ma plasmato con argilla impura mista a terra sab-
biosa quarzilica, che lo rende estremamente pesante. Esso venne alla
luce pochi giorni or sono nei lavori di consolidamento al vecchio edi-
ficio universitario, e propriamente fu raccolto nel terreno vergine (poz-
zolana) a circa sette metri dal piano stradale, allo stesso livello ed a
breve distanza dal posto donde fu estratto il vasetto di buccaro bico-
nico, tipo Villanova, di cui avemmo a parlare l'inverno scorso.
« A parere del prof. Dall'Osso, entrambi questi vasetti trovati en-
tro la cinta della muraglia greca apparterrebbero all'antico sepolcreto
di Palepoli, impiantato, secondo una felice intuizione del De Petra,
sulla collina di S. Giovanni Maggiore. Dette tombe sarebbero state
dai palepoletani collocate, secondo l'uso antico, subito fuori del loro
abitato e ad oriente di esso, proprio sul sito ove poi sorsero le pode-
rose mura di Neapolis; e vennero sconvolte nelle opere di fondazione
delle mura stesse e delle annesse fortificazioni. Il carattere funebre di
questi vasetti è principalmente indicato dalle loro minuscole propor-
zioni, giacché, come è noto per altri scavi, stoviglie di dimensioni così
ridotte, si trovano soltanto nei sepolcri e nelle slipi sacre. Vasetti si-
mili per proporzioni e per forma hanno fornito pure le necropoli della
valle del Sarno sulla esistenza di Palepoli e sulla sua precisa ubica-
zione ».
Don Fastidio.
DA LIBRI E PERIODICI
Con felice indagine, Emilio Bertaux ha potuto stabilire che il ma-
gnifico messale donato da Guido de Medici, arcivescovo di Chieti
(1528-1537), alla sua cattedrale, era in origine appartenuto al Cardinal
Giovanni Borgia, pel quale era stato miniato tra il 1492 e il 1494
(Le missel de Jean Borgia, extrait de la Revue de l'art ancien et moderne,
Paris, 1905). I fogli del prezioso ms. sono 223, e di questi 23 or-
nati da miniature, delle quali una — la crocefissione — occupa l'in-
tera facciata, e le altre consistono in riquadri e in quadretti con
le iniziali. Scene del Vecchio e Nuovo Testamento si alternano in
questi con avvenimenti della corte papale, del personaggio al quale
era destinato il libro, e con altri avvenimenti contemporanei: il Car-
dinal Borgia che ascolta la messa; Alessandro VI che lo eleva al
cardinalato; lo stesso pontefice portato sulla sedia gestatoria; la festa
del Corpus Domini in una basilica romana; l'incoronazione del papa;
la morte di Ferrante I d'Aragona re di Napoli; il dono della rosa
d'oro a Carlo VIII re di Francia. Eseguito da vari miniaturisti, il
principale dei quali appartenne alla scuola di Attavante degli Atta-
vanti, il ms. che il B. restituisce al secolo XV, desta così un interesse
storico oltre l'artistico.
* *
Un cenno storico-descrittivo de La facciata del Duomo di Napoli
inaugurata dall'Em. cardinale arcivescovo Giusepe Prisco il dì 18 giugno
del MCMV ha pubblicato in un elegante opuscolo in-4, ricco d'inci-
sioni, A. Miola (Napoli, Giannini, 1905). — È noto che la chiesa,
compiuta dopo il primo ventennio del sec. XIV, non ebbe alcun or-
namento all'esterno, fino a tanto che, nel 1407, il cardinale Enrico
Minutolo non ne decorò il frontespizio col ricco portale marmoreo di
Antonio Baboccio. Il Terremoto del 1456, che fece crollare gran parte
del Duomo, dovè produrre nella facciata i primi guasti, i quali, non ri-
parati a tempo, andarono sempre aumentandosi. — Si giunge così alla
fine del settecento. Già dalla metà di quel secolo il cardinale Anto-
nino Sersale aveva sentita la necessità di un restauro, ma arrivò solo
a prepararne i materiali. Lo cominciò, nel 1788, e lo condusse a ter-
mine, con la direzione tecnica dell'architetto Tommaso Senese, il
cardinale G. M. Zurlo. Sventuratamente, l'architetto stimò di rifare la
facciata « in maniera che ritenesse del disegno antico, ma avesse an-
cora del moderno: onde levato quell'oscuro del colore della pietra
naturale e sovrappostovi il bianco dello stucco, si rendesse così più
allegra e luminosa quella piazza ». Tuttavia, il risultato di siffatto
miscuglio fu meno disastroso di quanto potrebbe credersi. Finalmente,
il cardinale Sisto Riario Sforza pensò di dare al tempio un prospetto
degno di esso, cioè grandioso, ricco ed appariscente, e che costituisse
non già un restauro propriamente detto, ma un'aggiunzione di opera
nuova ad opera antica. E a tal uopo nominò una Commissione, della
quale facevano parte, tra gli altri, Giuseppe Fiorelli e Michele Rug-
giero. Questa scelse il progetto presentato dal geniale architetto En-
rico Alvino, esortandolo, per altro, a studiarvi ancora su, e ad atte-
nersi a certe determinate norme. Per l'immatura morte dell'Alvino,
l'opera fu continuata da Nicola Breglia e Giuseppe Pisanti, i quali pre-
sentarono il progetto definitivo, che venne approvato dalla Commis-
sione, nel 1877. Immediatamente cominciarono i lavori, seguitati con
minore alacrità dopo la morte del Riario e ripresi con novella lena
sotto il presente arcivescovo, mercé l'attività di due speciali Commis-
sioni. La facciata — che il Miola descrive minutamente nell'insieme
e nei particolari —, quale oggi è stata inaugurata, è tutt'altro che
opera compiuta. Pure può già darsene un giudizio, e questo, secondo
il nostro egregio amico, è che « rimirandola... con animo scevro da
preconcetti, non può lo spettatore non rimaner convinto che il fine
propostosi sì dai promotori e sì dagli autori dell'opera è raggiunto, e
coi mezzi artistici più idonei a conseguirlo ».
* *
Un notevole contributo allo studio della Pittura e Miniatura a Na-
poli nel sec. XIV ha portato il conte Erlach von Fùrchtenaù, con un
articolo pubblicato nel fase. I dell'Arte (Roma, gennaio-febbraio 1905).
Prende le mosse dallo Statuto dell'ordine cavalleresco del Saint Esprit
au trois désir, fondato, come è noto, nel 1352, dal re Ludovico, marito
di Giovanna I. Egli crede che delle belle miniature che ornano quel
codice, ora conservato nella Nazionale di Parigi, fu autore un ignoto
artista italiano che lavorava a Napoli. Attribuisce, inoltre, alla stessa
mano le miniature della Bibbia Hamilton, ora al « Kupferstichkabinet »
di Berlino, quelle della Bibbia in tre volumi della Biblioteca Vaticana
(n. 335°), del messale (n. 158) della Biblioteca Municipale di Avi-
gnone, e di alcune pagine del Breviarium Franciscanum della Nazionale
di Madrid (N. C. 68) e della Divina Commedia del British Museum
(Acld. 19587). Le illustrazioni di questi codici hanno grandi affinità
iconografiche e stilistiche con gli affreschi dell'Incoronata, e forse le
une e gli altri dipendono da un modello comune, dalle opere di Giotto
che erano a S. Chiara e che furono distrutte nel sec. XVII, ma che
già avevano avuto, nel sec. XIV e nella prima metà del secolo se-
guente, una potente influenza nell'Italia meridionale, come appare dal
ciclo di affreschi dipinti in S. Caterina di Galatina, nel 1435, da Fran-
cesco di Arezzo.
Don Ferrante.
NAPOLI NOBILISSIMA
Alcuni avanzi delle tombe di Palepoli.
Dal Pungolo, del 3 agosto, togliamo:
« L'ing. Carlo Giovene ha consegnato ieri al prof. Dall'Osso, per
essere immesso nelle collezioni preistoriche del nostro Museo, un va-
setto greco (vinochoe a bocca rotonda od olpe) a vernice nero-lucida,
lavorato al tornio, ma plasmato con argilla impura mista a terra sab-
biosa quarzilica, che lo rende estremamente pesante. Esso venne alla
luce pochi giorni or sono nei lavori di consolidamento al vecchio edi-
ficio universitario, e propriamente fu raccolto nel terreno vergine (poz-
zolana) a circa sette metri dal piano stradale, allo stesso livello ed a
breve distanza dal posto donde fu estratto il vasetto di buccaro bico-
nico, tipo Villanova, di cui avemmo a parlare l'inverno scorso.
« A parere del prof. Dall'Osso, entrambi questi vasetti trovati en-
tro la cinta della muraglia greca apparterrebbero all'antico sepolcreto
di Palepoli, impiantato, secondo una felice intuizione del De Petra,
sulla collina di S. Giovanni Maggiore. Dette tombe sarebbero state
dai palepoletani collocate, secondo l'uso antico, subito fuori del loro
abitato e ad oriente di esso, proprio sul sito ove poi sorsero le pode-
rose mura di Neapolis; e vennero sconvolte nelle opere di fondazione
delle mura stesse e delle annesse fortificazioni. Il carattere funebre di
questi vasetti è principalmente indicato dalle loro minuscole propor-
zioni, giacché, come è noto per altri scavi, stoviglie di dimensioni così
ridotte, si trovano soltanto nei sepolcri e nelle slipi sacre. Vasetti si-
mili per proporzioni e per forma hanno fornito pure le necropoli della
valle del Sarno sulla esistenza di Palepoli e sulla sua precisa ubica-
zione ».
Don Fastidio.
DA LIBRI E PERIODICI
Con felice indagine, Emilio Bertaux ha potuto stabilire che il ma-
gnifico messale donato da Guido de Medici, arcivescovo di Chieti
(1528-1537), alla sua cattedrale, era in origine appartenuto al Cardinal
Giovanni Borgia, pel quale era stato miniato tra il 1492 e il 1494
(Le missel de Jean Borgia, extrait de la Revue de l'art ancien et moderne,
Paris, 1905). I fogli del prezioso ms. sono 223, e di questi 23 or-
nati da miniature, delle quali una — la crocefissione — occupa l'in-
tera facciata, e le altre consistono in riquadri e in quadretti con
le iniziali. Scene del Vecchio e Nuovo Testamento si alternano in
questi con avvenimenti della corte papale, del personaggio al quale
era destinato il libro, e con altri avvenimenti contemporanei: il Car-
dinal Borgia che ascolta la messa; Alessandro VI che lo eleva al
cardinalato; lo stesso pontefice portato sulla sedia gestatoria; la festa
del Corpus Domini in una basilica romana; l'incoronazione del papa;
la morte di Ferrante I d'Aragona re di Napoli; il dono della rosa
d'oro a Carlo VIII re di Francia. Eseguito da vari miniaturisti, il
principale dei quali appartenne alla scuola di Attavante degli Atta-
vanti, il ms. che il B. restituisce al secolo XV, desta così un interesse
storico oltre l'artistico.
* *
Un cenno storico-descrittivo de La facciata del Duomo di Napoli
inaugurata dall'Em. cardinale arcivescovo Giusepe Prisco il dì 18 giugno
del MCMV ha pubblicato in un elegante opuscolo in-4, ricco d'inci-
sioni, A. Miola (Napoli, Giannini, 1905). — È noto che la chiesa,
compiuta dopo il primo ventennio del sec. XIV, non ebbe alcun or-
namento all'esterno, fino a tanto che, nel 1407, il cardinale Enrico
Minutolo non ne decorò il frontespizio col ricco portale marmoreo di
Antonio Baboccio. Il Terremoto del 1456, che fece crollare gran parte
del Duomo, dovè produrre nella facciata i primi guasti, i quali, non ri-
parati a tempo, andarono sempre aumentandosi. — Si giunge così alla
fine del settecento. Già dalla metà di quel secolo il cardinale Anto-
nino Sersale aveva sentita la necessità di un restauro, ma arrivò solo
a prepararne i materiali. Lo cominciò, nel 1788, e lo condusse a ter-
mine, con la direzione tecnica dell'architetto Tommaso Senese, il
cardinale G. M. Zurlo. Sventuratamente, l'architetto stimò di rifare la
facciata « in maniera che ritenesse del disegno antico, ma avesse an-
cora del moderno: onde levato quell'oscuro del colore della pietra
naturale e sovrappostovi il bianco dello stucco, si rendesse così più
allegra e luminosa quella piazza ». Tuttavia, il risultato di siffatto
miscuglio fu meno disastroso di quanto potrebbe credersi. Finalmente,
il cardinale Sisto Riario Sforza pensò di dare al tempio un prospetto
degno di esso, cioè grandioso, ricco ed appariscente, e che costituisse
non già un restauro propriamente detto, ma un'aggiunzione di opera
nuova ad opera antica. E a tal uopo nominò una Commissione, della
quale facevano parte, tra gli altri, Giuseppe Fiorelli e Michele Rug-
giero. Questa scelse il progetto presentato dal geniale architetto En-
rico Alvino, esortandolo, per altro, a studiarvi ancora su, e ad atte-
nersi a certe determinate norme. Per l'immatura morte dell'Alvino,
l'opera fu continuata da Nicola Breglia e Giuseppe Pisanti, i quali pre-
sentarono il progetto definitivo, che venne approvato dalla Commis-
sione, nel 1877. Immediatamente cominciarono i lavori, seguitati con
minore alacrità dopo la morte del Riario e ripresi con novella lena
sotto il presente arcivescovo, mercé l'attività di due speciali Commis-
sioni. La facciata — che il Miola descrive minutamente nell'insieme
e nei particolari —, quale oggi è stata inaugurata, è tutt'altro che
opera compiuta. Pure può già darsene un giudizio, e questo, secondo
il nostro egregio amico, è che « rimirandola... con animo scevro da
preconcetti, non può lo spettatore non rimaner convinto che il fine
propostosi sì dai promotori e sì dagli autori dell'opera è raggiunto, e
coi mezzi artistici più idonei a conseguirlo ».
* *
Un notevole contributo allo studio della Pittura e Miniatura a Na-
poli nel sec. XIV ha portato il conte Erlach von Fùrchtenaù, con un
articolo pubblicato nel fase. I dell'Arte (Roma, gennaio-febbraio 1905).
Prende le mosse dallo Statuto dell'ordine cavalleresco del Saint Esprit
au trois désir, fondato, come è noto, nel 1352, dal re Ludovico, marito
di Giovanna I. Egli crede che delle belle miniature che ornano quel
codice, ora conservato nella Nazionale di Parigi, fu autore un ignoto
artista italiano che lavorava a Napoli. Attribuisce, inoltre, alla stessa
mano le miniature della Bibbia Hamilton, ora al « Kupferstichkabinet »
di Berlino, quelle della Bibbia in tre volumi della Biblioteca Vaticana
(n. 335°), del messale (n. 158) della Biblioteca Municipale di Avi-
gnone, e di alcune pagine del Breviarium Franciscanum della Nazionale
di Madrid (N. C. 68) e della Divina Commedia del British Museum
(Acld. 19587). Le illustrazioni di questi codici hanno grandi affinità
iconografiche e stilistiche con gli affreschi dell'Incoronata, e forse le
une e gli altri dipendono da un modello comune, dalle opere di Giotto
che erano a S. Chiara e che furono distrutte nel sec. XVII, ma che
già avevano avuto, nel sec. XIV e nella prima metà del secolo se-
guente, una potente influenza nell'Italia meridionale, come appare dal
ciclo di affreschi dipinti in S. Caterina di Galatina, nel 1435, da Fran-
cesco di Arezzo.
Don Ferrante.