apoli nobilissima
RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
Vol. XIV.
Fasc. X.
VIAGGIATORI STRANIERI A NAPOLI
I.
Il PRESIDENTE DI MONTESQUIEU.
Un libro rimasto ignoto, o quasi, in Italia, e pur
molto importante per la nostra storia durante il sesto
lustro del secolo XVIII, sono i Voyages de Montesquieu,
che hanno veduto la luce una decina d'anni fa (0, giusta
una copia manoscritta e qualche foglietto della prima re-
dazione — autografa, ma, sventuratamente, perduta — con-
servati nell'Archivio del castello di La Brède. Sono ap-
punti presi giorno per giorno, ma appunti di un gran-
d'uomo, che sapeva vedere e meditare su ciò che aveva
veduto.
Buona parte del libro (2) riguarda il viaggio fatto in
Italia negli anni 1728-9. Il Montesquieu, reduce dall'Au-
stria, visitò prima Venezia, poi Padova, Vicenza, Verona,
Milano, Torino, Genova, Lucca, Pisa, Livorno, Firenze,
Roma, Napoli; ed, al ritorno, Roma di nuovo, il resto
dello Stato ecclesiastico, Modena, Parma, Mantova.
A Napoli egli giunse il 23 aprile 1729, sotto una tale
impressione di profonda ammirazione per la città eterna,
« la plus belle ville du monde », quella in cui si sareb-
bero trovate le arti, se per caso si fossero perdute (3), da
scrivere: « On peut voir Naples dans deux minutes; il
faut six mois pour voir Rome » (4). I due minuti, è vero,
divennero quasi due settimane; ma che sono queste a
(1) Sono stati pubblicati negli anni 1894-6, a Bordeaux (Imprimerie
G. Gounoulhou, 2 voll. in-8 gr.), con amorosa cura, dal discendente
di lui, il barone Alberto de Montesquieu, aiutato nell'opera dai suoi
colleghi della Commission de publication de la Société des Bibliophiles de
Guyenne, e da vari stranieri, tra i quali il nostro venerando Alessan-
dro D'Ancona. — Una recensione del I vol. fatta dal Cantò è nella
N. Antol., dec. 1894, p. 567 sgg.
(2) I, 19-276; II, 3-126, 285-363, 379-83.
(3) II, 7-
(4) I, XXIX.
Iparagone dei cinque mesi circa, che egli, a due riprese,
trascorse in Roma?
Con una tal pietra di paragone, misera e goffa gli do-
veva apparire l'architettura della nostra città:
Il me semble — dice (1) — que ceux qui cherchent les bons
ouvrages de l'art ne doivent pas quitter Rome. A Naples il me
paroit qu'il étoit plus facile de se gàter le goùt que de se le
former. — J' ai vu aujourd' hui 4 ou 5 églises: j' y ai trouvé des or-
nements, de la magnificence; aucun goùt: un goùt gothique; dans
les ornements quelque chose de bizarre, et rien de cette simpli-
cité qui est dans les ouvrages anciens ou dans ceux de Michel-
Ange et ceux qu' il a fomés. J' ai vu plusieurs fagades de palais;
je n'en ai pas trouvé une seule de bon goùt (2); je ne sais ce
que sera le dedans.
(1) II, 6.
(2) In ciò il presidente di Montesquieu era perfettamente d'accordo
col marchese Domenico Caracciolo. Il quale, a dì 2 luglio 1765, scri-
veva da Londra, ov'era allora ambasciatore, all'ab. Ferd. Galiani, ar-
rivato di fresco a Napoli in licenza, dopo sei anni di dimora a Pa-
rigi, una lunga lettera (inedita), che termina in un modo non troppo
soddisfacente pei napoletani: « Credo bene che dopo molti anni di
lontananza a ciascuno di noi debba far maraviglia le grida inde-
centi, i gesti sregolati e le parolacce dei nostri patriotti. Questa è
cosa più importante di ciò che sembra alla bella prima, poiché a
me pare che la gentilezza dei modi proviene sempre in una na-
zione dalla giustezza delle idee e del pensare; voglio dire che una
nazione goffa non penserà mai bene; siccome, dopo il ristabilimento
delle buone lettere, prima cominciarono a scrivere bene ed a perfe-
zionare, lo stile, e poi avanzarono le scienze. Insomma, questo pa-
radosso è una verità, che il buon parlare va innanzi del ben pen-
sare. — Godo di sapere che si sieno fatte facciate di buona archi-
tettura. Questa è una questione, la quale sovente mi è stata fatta da
molti inglesi, perchè in Napoli, città così vicina di Roma e così ricca,
vi regni un così cattivo gusto nelle fabbriche. Ho risposto che i po-
tenti abitavano in loro feudi e cose simili; ma la vera causa del cat-
tivo gusto è la goffaggine naturale dei napoletani, portati al fasto,
senza però niuna sorta di eleganza ». — La poca bellezza degli edi-
fici napoletani era stata, d'altra parte, notata, più di un secolo prima,
da uno scrittore innamorato di Napoli almeno quanto il Celano, vo-
glio dire da Giulio Cesare Capaccio. Il quale, nel celebre Forestiero
(Napoli, Roncagliolo, 1634), p. 851, finge che lo straniero a cui egli
fa da guida esclami: « Pur sapete quel che pare a me che manchi
[a Napoli]?.... La bellezza degli edifici. Ho veduti quelli di Roma, Fio-
renza, di Genova, di Venezia che sono magnifici, bene architetturati,
con una scenografia che v'innamora, che pasce gli occhi, e in uno
splendore di nobiltà far conoscere la grandezza di chi vi habita; Na-
poli sente mancamento di questo; e se non fosse che sta posta sotto
cielo così chiaro, con l'aura del mare, coi tetti la maggior parte sco-