RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
in guardia contro ogni qualunque attentato dell'inimico »
e di difenderle fino all'ultima goccia di sangue ». « Esegui-
rono questi due puntualmente tutto il commessogli, s'im-
padronirono della torre e di tutto il ricinto di S. Chiara e
delle due cennate porte della città e delle fosse de' grani
e delle cisterne dell'oglio; ed in ciascun luogo, a pro-
porzione delle poche forze che avevano, ci lasciaron le
guardie » (0. Ma queste, a simiglianza delle guardie na-
zionali di felice memoria, si affrettavano sistematicamente
ad abbandonare il posto, appena che uno dei due fratelli
voltava le spalle; in modo che riuscì facilissimo al duca
di Popoli, che comandava l'esercita realista, di disperdere
e mettere in fuga le poche che v'erano rimaste, ed impa-
dronirsi del Largo e dei luoghi adiacenti (2).
Tiberio, come è noto, dopo una disperata difesa in
S. Chiara, riuscì a scampare e prese la via dell'esilio; nè
tornò nella città tanto a lui cara che sette anni dopo,
quando l'esercito austriaco, quasi senza colpo ferire, s'im-
padronì del Regno. Chi sa con quanta gioia dovè egli
rivedere quel Largo che gli destava tanti ricordi dolci e
dolorosi ad un tempo! Lo trovò poco o nulla mutato;
soltanto, in un angolo, sorgeva un casotto di legno che
prima non v'era. E là, durante i tre mesi estivi, recita-
vano le solite compagnie di squallidi istrioni che allora so-
levano piantar tenda in tutti i luoghi di Napoli, fino a
tanto che qualche scappata un po' grossa d'una prima donna
o d'una servetta, o i reclami troppo insistenti di qualche
pinzochera che abitava nei dintorni non costringevano
l'uditore dell'esercito a dare a quegli affamati cultori di
Talia lo sfratto (3).
Per questo casotto uno sconosciuto precursore di Vit-
torio Alfieri compose niente di meno una tragedia —
Bruto —, in cui la parte della casta Lucrezia era egregia-
mente disimpegnata da una comica, che, al contrario della
matrona romana, si divertiva a far perdere la testa a pa-
recchi Sesti napoletani, e di cui si trova notizia nei so-
netti dialettali di Niccola Capasso (4).
continua.
Fausto Nicolini.
(i) Memorie di Tiberio Carafa (ms. presso la Soc. nap. di st. pat.),
libro III, pp. 107-109; cfr. Storia della congiura del principe di Mac-
chia, e della occupazione fatta dalle armi austriache del Rigno di Napoli
nel 1707 del march. Angelo Granito, princ. di Belmonte (Napoli,
Stamp. dell'Iride, 1861, due voll. in-8), p. 129.
(2) Carafa, ivi, p. 118 sg.; Granito, ivi, p. 135.
(3) Nel 1712, la Conservazione de' comici lombardi domandava
appunto il permesso di fare « il solito Balchetto per rappresentar com-
medie nel casino fuori la porta dello Spirito Santo ». Cfr. Croce, 1
teatri di Napoli, Napoli, Pierro, 1891, in 8° (estr. daWArch. stor. nap.),
p. 280: cfr. p. 455.
(4) Croce, 1. c. Il casotto a Piazza Dante dovè certamente conti-
nuare a funzionare almeno fino al 1754, perchè se ne parla in una
supplica del marzo di quell'anno di Giuseppe d'Amato, proprietario
del primo San Carlino (Croce, op. cit., p. 455). Forse, fu abolito quando
il Mercatello divenne il Foro Carolino.
VARIETÀ INTORNO AI "LAZZARI,,
(Contili. — v. fase. IX).
II.
La LEGGENDA DEI LAZZARI.
I lazzari erano dunque l'infima classe dei proletarii di
Napoli, quella classe che i sociologi moderni contrappon-
gono spesso al proletariato industriale, del quale infatti
forma spesso l'antitesi e il nemico, col nome di prole-
tariato cencioso (Lumpenproletariat). Naturalmente, codesti
proletarii napoletani, oltre i caratteri comuni dei proletarii
in generale, e in ispecie di quelli delle grandi città, hanno
alcuni caratteri speciali, determinati dalle condizioni spe-
ciali del nostro paese. Qui il clima è mite, la vita relati-
vamente facile, si può dormire all'aria aperta e nutrirsi
di poco, si può esser sobrii, e per conseguenza disposti
alla spensieratezza: i bisogni morali e intellettuali della
plebe non sono troppo grandi, la spingono di rado alla ri-
bellione. E i caratteri e le abitudini della classe dei pro-
letarii variano anche col variare delle condizioni storiche.
Ad esempio, per fermarci ad alcune parti esteriori, ora
il miserabile che non ha casa deve di necessità ridursi
la sera nelle locande a un soldo, e pochi sfuggono ai re-
golamenti di polizia urbana dormendo per le piazze e sui
gradini delle chiese. Ma, un paio di secoli fa, la povera
gente si rannicchiava per dormire nelle baracche che in-
gombravano le piazze, sotto le pennate e i banconi delle
botteghe; onde ancora resta, nel dialetto, la parola banco-
naro, e banchiere, come sinonimo di plebeo e quindi di
mascalzone! Ora, è assai raro vedere gente scalza per le
vie di Napoli, e trent'anni fa era ancora cosa comunis-
sima. E il numero dei proletarii segue gli ondeggiamenti
economici del paese; e non mai Napoli ebbe una massa
così spaventosa di pezzenti ed affamati come durante il
periodo della dominazione spagnuola.
Applicato il nome, nel modo che si è visto, ai plebei
della rivoluzione di Masaniello, esso per qualche tempo
non ebbe grande fortuna, e si trova adoperato quasi sol-
tanto dagli storici di quella rivoluzione. È da notare che
i viaggiatori stranieri che vennero a Napoli tra il 1650
e il 1750, quelli di essi che erano di proposito osserva-
tori delle condizioni sociali, non lo citano quasi mai per
indicar la plebe napoletana: non la cita il Burnet, che
viaggiò per l'Italia nel 1685-1686; nè l'Addison, che fece
lo stesso viaggio nel 1701-1703 (A. Ne parla invece il
Montesquieu, — come fu detto nel fascicolo precedente
(1) Burnet, Voyage, trad. frane. Rotterdam, 1690, cfr. p. 287; Ad-
dison, Remarfe on several parts of Italy, j.a ed. Londra, 1726.
in guardia contro ogni qualunque attentato dell'inimico »
e di difenderle fino all'ultima goccia di sangue ». « Esegui-
rono questi due puntualmente tutto il commessogli, s'im-
padronirono della torre e di tutto il ricinto di S. Chiara e
delle due cennate porte della città e delle fosse de' grani
e delle cisterne dell'oglio; ed in ciascun luogo, a pro-
porzione delle poche forze che avevano, ci lasciaron le
guardie » (0. Ma queste, a simiglianza delle guardie na-
zionali di felice memoria, si affrettavano sistematicamente
ad abbandonare il posto, appena che uno dei due fratelli
voltava le spalle; in modo che riuscì facilissimo al duca
di Popoli, che comandava l'esercita realista, di disperdere
e mettere in fuga le poche che v'erano rimaste, ed impa-
dronirsi del Largo e dei luoghi adiacenti (2).
Tiberio, come è noto, dopo una disperata difesa in
S. Chiara, riuscì a scampare e prese la via dell'esilio; nè
tornò nella città tanto a lui cara che sette anni dopo,
quando l'esercito austriaco, quasi senza colpo ferire, s'im-
padronì del Regno. Chi sa con quanta gioia dovè egli
rivedere quel Largo che gli destava tanti ricordi dolci e
dolorosi ad un tempo! Lo trovò poco o nulla mutato;
soltanto, in un angolo, sorgeva un casotto di legno che
prima non v'era. E là, durante i tre mesi estivi, recita-
vano le solite compagnie di squallidi istrioni che allora so-
levano piantar tenda in tutti i luoghi di Napoli, fino a
tanto che qualche scappata un po' grossa d'una prima donna
o d'una servetta, o i reclami troppo insistenti di qualche
pinzochera che abitava nei dintorni non costringevano
l'uditore dell'esercito a dare a quegli affamati cultori di
Talia lo sfratto (3).
Per questo casotto uno sconosciuto precursore di Vit-
torio Alfieri compose niente di meno una tragedia —
Bruto —, in cui la parte della casta Lucrezia era egregia-
mente disimpegnata da una comica, che, al contrario della
matrona romana, si divertiva a far perdere la testa a pa-
recchi Sesti napoletani, e di cui si trova notizia nei so-
netti dialettali di Niccola Capasso (4).
continua.
Fausto Nicolini.
(i) Memorie di Tiberio Carafa (ms. presso la Soc. nap. di st. pat.),
libro III, pp. 107-109; cfr. Storia della congiura del principe di Mac-
chia, e della occupazione fatta dalle armi austriache del Rigno di Napoli
nel 1707 del march. Angelo Granito, princ. di Belmonte (Napoli,
Stamp. dell'Iride, 1861, due voll. in-8), p. 129.
(2) Carafa, ivi, p. 118 sg.; Granito, ivi, p. 135.
(3) Nel 1712, la Conservazione de' comici lombardi domandava
appunto il permesso di fare « il solito Balchetto per rappresentar com-
medie nel casino fuori la porta dello Spirito Santo ». Cfr. Croce, 1
teatri di Napoli, Napoli, Pierro, 1891, in 8° (estr. daWArch. stor. nap.),
p. 280: cfr. p. 455.
(4) Croce, 1. c. Il casotto a Piazza Dante dovè certamente conti-
nuare a funzionare almeno fino al 1754, perchè se ne parla in una
supplica del marzo di quell'anno di Giuseppe d'Amato, proprietario
del primo San Carlino (Croce, op. cit., p. 455). Forse, fu abolito quando
il Mercatello divenne il Foro Carolino.
VARIETÀ INTORNO AI "LAZZARI,,
(Contili. — v. fase. IX).
II.
La LEGGENDA DEI LAZZARI.
I lazzari erano dunque l'infima classe dei proletarii di
Napoli, quella classe che i sociologi moderni contrappon-
gono spesso al proletariato industriale, del quale infatti
forma spesso l'antitesi e il nemico, col nome di prole-
tariato cencioso (Lumpenproletariat). Naturalmente, codesti
proletarii napoletani, oltre i caratteri comuni dei proletarii
in generale, e in ispecie di quelli delle grandi città, hanno
alcuni caratteri speciali, determinati dalle condizioni spe-
ciali del nostro paese. Qui il clima è mite, la vita relati-
vamente facile, si può dormire all'aria aperta e nutrirsi
di poco, si può esser sobrii, e per conseguenza disposti
alla spensieratezza: i bisogni morali e intellettuali della
plebe non sono troppo grandi, la spingono di rado alla ri-
bellione. E i caratteri e le abitudini della classe dei pro-
letarii variano anche col variare delle condizioni storiche.
Ad esempio, per fermarci ad alcune parti esteriori, ora
il miserabile che non ha casa deve di necessità ridursi
la sera nelle locande a un soldo, e pochi sfuggono ai re-
golamenti di polizia urbana dormendo per le piazze e sui
gradini delle chiese. Ma, un paio di secoli fa, la povera
gente si rannicchiava per dormire nelle baracche che in-
gombravano le piazze, sotto le pennate e i banconi delle
botteghe; onde ancora resta, nel dialetto, la parola banco-
naro, e banchiere, come sinonimo di plebeo e quindi di
mascalzone! Ora, è assai raro vedere gente scalza per le
vie di Napoli, e trent'anni fa era ancora cosa comunis-
sima. E il numero dei proletarii segue gli ondeggiamenti
economici del paese; e non mai Napoli ebbe una massa
così spaventosa di pezzenti ed affamati come durante il
periodo della dominazione spagnuola.
Applicato il nome, nel modo che si è visto, ai plebei
della rivoluzione di Masaniello, esso per qualche tempo
non ebbe grande fortuna, e si trova adoperato quasi sol-
tanto dagli storici di quella rivoluzione. È da notare che
i viaggiatori stranieri che vennero a Napoli tra il 1650
e il 1750, quelli di essi che erano di proposito osserva-
tori delle condizioni sociali, non lo citano quasi mai per
indicar la plebe napoletana: non la cita il Burnet, che
viaggiò per l'Italia nel 1685-1686; nè l'Addison, che fece
lo stesso viaggio nel 1701-1703 (A. Ne parla invece il
Montesquieu, — come fu detto nel fascicolo precedente
(1) Burnet, Voyage, trad. frane. Rotterdam, 1690, cfr. p. 287; Ad-
dison, Remarfe on several parts of Italy, j.a ed. Londra, 1726.