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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 14.1905

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Nr. 7
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Nicolini, Fausto: L'abate galiani epigrafista[3]
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Notizie ed osservazioni
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https://doi.org/10.11588/diglit.71025#0126

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NAPOLI NOBILISSIMA

mente al tema, il quale, sia detto il vero, non era troppo
adatto per un'epigrafe latina. Perciò all'abate non piacque.
Avrebbe potuto allora farne una terza lui, o almeno acco-
modare alla meglio quella dell'Ignarra. Niente di tutto ciò.
Si limitò, invece, a tenere quest'ultima per due mesi sul
suo tavolino, e mandarla poi tale quale, il 3 giugno 1780,
alla d'Épinay, accompagnata dalla seguente lettera (0:
. . . . J' aurais du vous envoyer une inscription pour madame
du Pernon. Vous croyez que je 1' ai oubliée: point de tout. De-
puis trois mois votre lettre est sur ma table et j' ai rèvé sou-
vent à vous satisfaire. Il m'a été impossible. Vous n'avez pas
idée de l'état de ma pauvre tète et de mon pauvre cceur. Des ou-
vrages a réimprimer augmentés (2), des procès, des rémontrances
éternellès à faire, des plaideurs à écouter, des persécutions à la
cour, la canaille des gens de lettres révoltée contre trois ou qua-
tre vrais savants, à la tète desquels on me met; une infinité de
chagrins domestiques, ma maitresse malade pendant deux mois,
un cheval mort, un voyage fait pour voir une sceur abbesse de
la Visitation de Saint-Georges (3): voilà une esquisse de mon
incroyable situation.
Me voyant hors d'état de vous satisfaire, j' avais chargè l'abbé
Ignarra, l'élève de Mazzocchi, le grand faiseur d'inscriptions chez
nous, de la faire à ma place. Il y a plus de deux mois qu' il s'en
est acquitté. Elle est sur ma table, elle ne me satisfait guère,
elle n'est ni tendre ni touchante, elle n'est que latine. J' aurais
voulu la retoucher: mèrne impossibilité. Enfin je vous l'envoie
telle quelle en son originai, et ce n'est que pour vous prouver
que je ne vous avais point oubliée.
fine.
Fausto Nicolini.

NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Commissione municipale dei monumenti.
Tornata del 30 giugno 1905:
I. Si propone che la lapide di via S. Nicola dei Caserti sia, per
cura del governo dell'Ospedale della Pace, ricordata al suo posto ori-
ginario da un facsimile, con un'aggiunta tabella che dica il perchè
della rimozione.
2. In risposta all'informazione chiesta dall'on. Sindaco, circa l'al-
torilievo decorante la facciata laterale del teatro S. Carlo, dice che quel
rilievo — rappresentante un genio alato con lunga tromba, la Fama,
e recante i medaglioni coi ritratti di re Carlo Borbone e della regina
Maria Amalia, -— scomparve, come scomparvero i due tripodi che
erano agli estremi del frontone, nel restauro fatto nel 1888 della fac-
ciata, in occasione della venuta a Napoli dell'imperatore di Germania;
e allora anche la facciata fu tinta di giallo.
3. Il De Petra riferisce circa gli avanzi ora ricomparsi della mu-
razione antica di Napoli (vedi più oltre). Dopo l'adunanza, la Commis-
sione si reca sul posto, ed esamina gli scavi fatti e gli oggetti trovati,
tra cui alcune anfore vinarie e due colonne di marmo cipollino.

(1) Corresp., II, 588 sg.
(2) Il libro della Moneta.
(3) Maria Settimia Galiani, della quale posseggo qualche lettera.

4. Si fa voto di sorvegliare attentamente i lavori di demolizione
della cinta esterna di Castelnuovo, per vedere se nel materiale si rin-
viene qualche frammento antico, come accadde nella demolizione del
bastione di S. Spirito.
* *
La NUOVA FACCIATA DEL DUOMO.
La facciata che si è inaugurata solennemente il 17 giugno, è la
terza che è stata imposta al nostro Duomo dopo la sua generale rie-
dificazione dei tempi eli Carlo II e di Roberto d'Angiò. In principio e
per circa un secolo, esso restò senza prospetto, e soltanto nel 1407 fu
completato dal cardinal Arrigo Minutolo con il magnifico portale scol-
pito da Antonio Baboccio. Questo con i bianchi marmi delle sue scul-
ture, energiche ed espressive sebbene un po' rozze, e con gli ornamenti
ispirati ad uno stile già in decadenza ma tuttora vivamente sentito
dall'artista ritardatario, doveva risaltare molto bene sulle nude pietre
della facciata, che aveva altre due porte e finestre ad arco acuto e
che era sobriamente incominciata. Ma i danni gravissimi del terremoto
del 1456, non riparati qui come nelle altre parti del tempio, e quelli
accumulatisi nei secoli per altri terremoti e per altre cause, fecero sen-
tire la necessità di un restauro che fu compiuto nel 1788 a spese del
cardinal Zurlo e sotto la direzione dell'architetto Tommaso Senese.
Questi non sostituì le nuove forme di arte alle antiche, ma si propose
di armonizzarle insieme e ne risultò un curioso stile gotico settecen-
tesco, che precorse di mezzo secolo il gotico romantico, da Paliorama
pittoresco, nel quale il Travaglini doveva trasformare tante altre nostre
chiese.
L'anacronismo dispiacque nei nuovi tempi, nella rinnovata impor-
tanza che si dette dopo il 1860 agli argomenti di pubblica edilizia, e
il cardinal Sisto Riario Sforza si accinse coraggiosamente alla riedifi-
cazione della facciata. Furono suoi consiglieri Giuseppe Fiorelli e Mi-
chele Ruggiero, e nel concorso nazionale per la nuova facciata venne
prescelto il disegno di Errico Alvino.
Quale il tema? Uniformarsi al gotico provenzale, in cui l'edificio
era stato costruito, divinandone, nell'esempio di altri edifici coevi, il
prospetto ideato dall'ignoto architetto costruttore?
Ma nel nostro Duomo della costruzione primitiva avanza ben poco
oltre la pianta, modificata anche questa e slargata per tante aggiun-
zioni. L'istesso repristino eseguito tra il 1837 e il 44, se fece ricom-
parire gli archi acuti e le colonne togliendo le volute e i cartocci del
rifacimento barocco, non valse a ridonare l'austero aspetto originario
alle navate e al sacrario, che continuarono a splendere di marmi e
lucidi stucchi e di dorature sotto i magnifici soffitti e ad essere
animate dalla più varia popolazione di statue e di pitture.
Ripristinare la facciata ordinata all'inizio del secolo XV dal cardi-
nal Arrigo Minutolo?
Non sappiamo perchè questo partito, che sembrerebbe oggi più lo-
gico, non sia stato seguito. Era forse impossibile rintracciare sotto gli
stucchi dell'architetto Senese le linee essenziali e prendere da queste
le norme pel completamento?
L'Alvino seguì altra via. Conservò intatto il portale del Baboccio,
non più campeggiante quasi isolato nella severa semplicità dell'intera
facciata; ma se ne servì come di un tema da svolgere, armonizzando
le sue alle linee dello stile italiano più affine, all'archiacuto del primo
rinascimento fiorito nell'Italia centrale.
L'opera, alla quale egli dedicò gli ultimi anni, perfezionandone 11
disegno con la sua incontentabilità di artista colto, l'opera, proseguita
dopo la morte dell'Alvino con cura amorosa e intelligente da Giusepe
Pisanti e Nicola Breglia, è riuscita molto bella. Chi la contempla nella
 
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