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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 14.1905

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Nr. 11
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Dall'Osso, Innocenzo: La Napoli greco-romana: di B. Capasso e la pianta topografica del De Petra
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Nicolini, Fausto: Dalla porta reale al palazzo degli studii[4]
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https://doi.org/10.11588/diglit.71025#0182

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NAPOLI NOBILISSIMA

nell'Eubea, prese Calcide e ne spartì il territorio in parti
uguali a 4000 dei suoi cittadini, traendo prigionieri in Atene
il fiore della cittadinanza calcidese. Però da quel tempo
Calcide fu considerata una nuova Atene.
Ma comunque si voglia pensare della costruzione calci-
dese od ateniese di Neapolis, nessuno può disconoscere al
De Petra il merito singolarissimo di aver rivendicato a
Napoli il suo schema originario a pianta quadrilatera e la
sua spartizione geometrica regolarissima, informata alla li-
mitazione puramente greca, escludendo qualsiasi influenza
etrusca, da altri ammessa. La teorica della limitazione etru-
sca, come pure l'italica che n'è emanazione diretta, sono
fondamentalmente diverse, quantunque l'una e l'altra ripe-
tano forse la stessa genesi dal culto sidereo e dalla scienza
astronomica dei Caldei. Gli Etruschi, distaccatisi dalla grande
famiglia aegeo-pelasgica prima di qualunque infiltrazione in
essa di razze arie, mantennero per lunga tradizione i ve-
tustissimi riti del mundus e del templum. La prima caratte-
ristica della limitazione etrusca è la decussis, cioè la divi-
sione in quattro zone da due grandi linee poste in croce,
il cardo ed il decumano dei gromatici romani e la suddi-
visione di ciascuna zona in isole quadrate; l'altra caratteri-
stica è l'osservanza di pratiche rituali, compiute dall'augure
che traccia il templum, pronunciando misteriose parole
(concepta verba) (A. Al contrario, il popolo greco, pur discen-
dendo dagli stessi antenati (Aegei-Pelasgi), essendo rimasto
nelle proprie sedi, subì assai per tempo la commistione con
la razza dorica di ceppo ario e quindi aliena da questi riti;
e, nel medio evo successo alla splendida civiltà micenea,
interruppe la tradizione dei barbari riti preellenici. Atene,
come in genere tutte le città greche, sorse senza regola
di limitazione con le sue case intorno all'Acropoli, allo
stesso modo che venne fondata Cuma metropoli di Napoli.
Quando i Greci, e prima di tutti gli Ateniesi, adottarono la
limitazione, avevano già percorso un glorioso cammino nel-
l'arte e nella filosofia, onde la nuova teorica, introdotta da
Ippodamo da Mileto, fu informata ad un puro razionalismo,

(1) Le differenze fra la limitazione greca ed etrusco-romana, qui
sommariamente accennate, furono da me ampiamente discusse in una
dissertazione sulla limitazione della Gallia cispadana, letta in una delle
tornate della Società di Storia Patria delle Romagne. Ivi dimostrai
come le norme della limitazione agraria erano in uso in Assiria e
nell'Egitto nel II millennio a. C., e vennero introdotte in Italia da-
gli Etruschi e non dagli Umbro-Latini di razza aria, a cui siffatti
riti erano sconosciuti. Epperò Roma sorse senza limitazione, ed, anche
dopo l'incendio gallico, fu riedificata senza piano regolatore, ed i Ger-
mani di razza aria, ancora al tempo di Tacito, vivevano in villaggi con
capanne sparse senza regola. È quindi fondamentalmente errata la
teoria dei poletnologi che ammettono le terremare (embrioni di città
italiche) fondate da popoli di razza aria e divise al centro dalle due
grandi strade, il cardo e il decumano.

che pose in bando ogni rituale religioso. Caratteristica
della limitazione greca è la spartizione in rettangoli ri-
sultanti dalle grandi divisioni in senso longitudinale (cata
mecos) e latitudinale con numerosi vicoli (rimotomia). I vi-
coli furono generalmente denominati dalle minori divinità,
che vi avevano culto (Sole, Luna, ecc.) e le maggiori
strade dagli Dèi patrii lungo le quali vennero innalzati
templi grandiosi (Apollinea Dioscuria, Demetria); onde, ad
evitare equivoci, bene avrebbe fatto il De Petra a man-
tenere queste stesse denominazioni, già usate dal Beloch,
abolendo la terminologia etrusco-romana dei cardini e de-
cumani ignota ai Greci, forse adottata da lui per sola com-
modità di dizione.
I. Dall'Osso.

DALLA PORTA REALE
AL PALAZZO DEGLI STUDII
(Contin. — v. fase. prec.).
III.
Il LARGO DEL MeRCATELLO.
Il popolo napoletano, tenace nel chiamare le vie con
l'antico nome, seguita a denominare Largo del Mercatello
la bella e spaziosa piazza, che, dalla statua marmorea del
nostro maggior poeta, che vi s'innalza nel centro, è detta
ufficialmente Dante. Lasciata fuori cinta, come s'è visto,
dalla murazione di don Pietro di Toledo, quella largura
servì a doppio scopo: a tenervi mercato ogni mercoledì —
donde il nome di Mercatello, per distinguerla dalla grande
piazza del Mercato (0 —, e ad impiantarvi due cavalle-
rizze (2), dove « di continuo da nobili e famosi maestri »
si attendeva « in ogni giorno al maneggio dei cavalli »,
con gran concorso di gentiluomini che venivano ad ap-
prendervi l'equitazione (3). Vi si domavano, inoltre, ed ad-
destravano puledri (4); ed i famigli de' gran signori vi con-
ducevano a passeggiare nobili destrieri, tutti nati nel Re-
gno, i quali, quantunque allora non fossero più quelli di
una volta, pur tuttavia erano ancora reputati i più belli
di Europa (5).

(1) Celano, op. e ed cit., III, p. 42.

(2) Descriz. della città di Napoli e suoi borghi del dottor Giuseppe
Sigismondo, Napoli, Terres, 1788-9, I, p. 239; Chiarini, in Celano,
III, p. 43.

(3) Celano, 1. c.

(4) Sigismondo e Chiarini, 11. cc.

(5) Anche prima della venuta dei Normanni, le razze de' cavalli
nelle nostre province, a causa della vicinanza degli arabi, erano molto
fiorenti. Famose sono poi le aracie che Federico II faceva allevare con
amorosa cura in Puglia, in Sicilia ed in altri luoghi; cura che conti-
nuarono ad avere Carlo d'Angiò ed i primi angioini. Ma finite le cro-
ciate, e specialmente dopo che sorsero le compagnie di ventura, i ca-
 
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