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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 14.1905

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Nr. 7
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Ceci, Giuseppe: Domenico Gargiulo detto Micco Spadaro [2]
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Nicolini, Fausto: L'abate galiani epigrafista[3]
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https://doi.org/10.11588/diglit.71025#0124

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108

NAPOLI NOBILISSIMA

a cavallo, vestito di lama d'argento e con un cappello di
velluto cremisino 0).
Lo stesso modo di riunire in una rappresentazione fatti
avvenuti in tempi e anche in luoghi diversi è seguito nel
quadro della peste. Questo ha per scena la piazza del
Mercatello quale era nel 16,6: di lato a sinistra si vede
Porta Alba, e la cupola di S. Sebastiano, che sormonta la
cinta delle mura. Fanno da sfondo le mura che racchiu-
dono le cisterne dell'olio e si congiungono con la Porta
dello Spirito Santo, nella quale terminava allora la via di
Toledo. La piazza è riempita di malati che chiedono soc-
corso, di moribondi che aspettano un prete che li con-
forti, di morti. Molti cadaveri sono ammucchiati qua e là,
altri sui carri, e, quando questi sono pieni, penzolano sulle
ruote e vengono trascinati per terra con funi. Rare per-
sone vive si aggirano in mezzo alla terribile scena di
desolazione, preti, uomini pietosi, medici, becchini e due
gravi figure di magistrati (2).
Come contrapposto a questa scena di pietà e di orrore,
bisogna guardare al quadro votivo di S. Martino. Le facce
rosee dei cento certosini, elegantemente vestiti di bianco,
e in mezzo ad essi quella un po' arcigna del cardinal Fi-
lomarino, testimoniano che il terribile flagello non ha var-
cato la soglia del lussuoso monastero sorgente sull'incan-
tevole collina. Soltanto per comodità di allegoria, il pittore
ha rappresentato nello stesso chiostro, dove i frati sono
inginocchiati, alcuni cadaveri di cittadini presso un'orribile
donna che simboleggia la peste. Contro di questa fa la
guardia con la spada sguainata il cavaliere S. Martino, e
in alto S. Brunone implora la Vergine, che placa col con-
corso di altri santi la divinità sdegnata. Dietro le arcate,
si dispiega la città di Napoli e il golfo ricinto dalla pe-
nisola sorrentina: in un angolo è il ritratto del pittore.
Questi quadri ci fanno rivivere in pieno seicento. Non
si possono dire propriamente quadri storici, allo stesso
modo che non si possono chiamare storie i diarii: non ci
dànno dell'avvenimento il punto culminante rappresentato
dai personaggi principali, ma ci narrano uno per uno i
mille episodii. E il contenuto si rispecchia nella maniera
del pittore, che si studia di riprodurre accuratamente i
contorni delle molte centinaia di piccole figure, che po-
polano le tele, con un fare da incisore. Più che dagli
olandesi e dai fiamminghi, che erano largamente rappre-
sentati nelle gallerie napoletane, il Gargiulo derivò la sua
maniera dai maestri del bulino più popolari a quel tempo,
Stefano della Bella e Jacopo Callot, da quest'ultimo spe-
cialmente.

(1) Capasso, Masaniello ed alcuni di sua famiglia effigiati nei quadri
e nelle stampe del tempo, in Arch. stor. nap., XXII (1897), p. 71 sg.

(2) Cfr. De Renzi, Napoli nell'anno 1656 (Nap., 1878), p. 396 sgg.

Altri pittori contemporanei trattarono lo stesso genere,
ma rimasero di molto inferiori a lui: nessuno seppe darci
un'immagine così precisa delle terribili calamità, che per
colpa degli uomini e della natura afflissero le città e il
regno in quell'epoca di fasto e di miseria.
fine.
Giuseppe Ceci.

L'ABATE GAL1ANI EPIGRAFISTA
(Cont. e fine — v. vol. XIV, fase. V).
X. Non ci resta ora che parlare di due altre iscrizioni
riferentisi amendue al medesimo argomento; le quali però
non sono dell'abate, ma di due suoi carissimi amici, Gian
Vincenzo Meola e Nicola Ignarra, su cui egli riversò un
cómpito che sarebbe toccato a lui.
Ecco come andò la faccenda. Il 21 febbraio 1780, la
signora d'Épinay scriveva da Parigi al suo amico lontano
(inedita):
Tandis que j' ai une lueur de force et de santé, mon cher
abbé, je veux vous écrire sur une chose que j' ai fortement à
coeur et sur laquelle je veux et j' ordonne que vous me fassiez
un chef d'ceuvre.
Nous avons perdu, il y a deux mois, dans notre société une
jeune femme charmante, que je crois que vous avez connu aussi
et qui est universellement regrettée. C'est la pauvre madame du
Pernon, fille de M. de Magnanville. Jamais évenement particulier
n'a cause un deuil et des regrets aussi universels que la mort
de cette aimable femme. Il est vrai qu'elle possedait toutes les
vertus solides et aimables dans un degré suffisant pour faire le
bonheur de tout ce qui l'entourait, mais pas assez pour exciter
la jalousie et l'envie. Tonte sa famille est au désespoir. Son pére
en mourra. Son mari se consolera, quelque vive que soit sa dou-
leur dans ce moment; car il veut lui élever un monument, et
toute douleur qui s'exhale n'est pas sans ressource.
Or, voyez ce que j' attends de vous. Ce monument n'est point
une affaire de faste et de luxe; c'est un petit monument de po-
che, qui sera caché dans un petit sanctuaire au fond de son ap-
partement, dans lequel seront renfermées les dépouilles de la
defunte.
Ce monument s'élève à frais communs entre le père et le
mari. Or, il s'agit d'une inscription latine en style vraiment la-
pidaire, et nous avons jetté les yeux sur vous, comme le seul
ètre capable de remplir cette tàche.
Je vous envoie l'historique de la personne qu'on a à celebrer
et l'historique des sentiments qui animent le père et le mari.
C'est le père qui a dieté ce que je vous envoie pour que vous
choisissiez dans toutes ses idées les plus convenables à la chose.
La seule condition exigée c'est qu'il faut faire parler le père et
le mari tous les deux dans l'inscription, et comme les regrets
sont aussi impatients que les desirs, je vous prie, mon cher abbé,
de ne pas perdre de temps à me répondre.
Alla fine della lettera, che continua a parlar d'altro, sono
poi i seguenti appunti, ai quali in essa s'accenna:
 
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