RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
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penetranti, ritrae la tragica agonia di quell'intelligenza, e
con sottile esame psicologico ne cerca ed assegna le lon-
tane e prossime origini.
« Portato naturalmente, e direi quasi, socialmente alla
più diretta, alla più genuina delle osservazioni della na-
tura, Gemito non ha voluto andar più in là della sua os-
servazione oggettiva e immediata e ha creduto che lì si
arrestasse il suo compito artistico. Non ha voluto fino a
quando la fama, che assegna, con un'insistenza esigente,
una quantità di doveri successivi agli artisti, non ha pre-
teso che si piegasse a una concezione lontana dal suo ca-
rattere e dalle sue elezioni l'anima plastica dell'autor della
Zingara e del Filosofo. Quel ch'è balzato da un conflitto
simigliante è noto. Un artista soltanto, il quale davvero
conosca le gioie e i dolori della sua professione, può dire
di questo qualcosa, ch'è la sofferenza inesprimibile, la du-
plice tortura ond'ei si convelle quando l'incitato suo amor
proprio si trova inaspettatamente a battagliare con le sug-
gestioni emulative e quando, ancora, l'orrore ch'egli prova
di sè medesimo al cospetto del suo vano tentativo lo
riempie d'una disperazione sorda e pungente. A fronte
del Carlo V e del Trionfo Gemito non ha sentito se non
l'importanza oppressiva di somiglianti opere, nuove alla
sua semplice e istintiva maniera di concepimento. E de-
gradata a mano a mano in un incubo tormentoso quella
responsabilità fatale ha sviscerato a un tratto le forme più
impressionanti d'una ribellione rattenuta. Forma di un no-
bile orgoglio richiamato dagli autentici e gloriosi successi
dell'arte che Gemito ha davvero sentito e che ha fatto
è forse quella incessante egomania del suo linguaggio vee-
mente: forma della sua repulsione invincibile è forse l'in-
dugio che da quasi due decennii lo trattiene davanti
l'opera interrotta.».
Così il libro del Di Giacomo, ricco di fatti, di notizie,
di documenti e di osservazioni, si chiude con una grande
melanconia di rimpianti. Rimpianto dell'uomo infelice che
da quasi un ventennio non riesce a rompere il suo sogno
ora inerte ora affannoso; rimpianto di una forza creativa
forse spenta per sempre, donde derivarono tante forme di
grazia singolare e di potente bellezza.
Alfredo Catapano.
NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Lo STEMMA DELLA CITTÀ DI NAPOLI.
L'amico L. Volpicella, sotto-archivista nell'Archivio di Stato di
Napoli, ci scrive:
« Caro don Fastidio,
« A cagione del mio ufficio io sono spesso interrogato sopra cose
blasoniche, e, non è gran tempo, dovetti per questo occuparmi un
pochino anche dello stemma della città di Napoli, in occasione di una
« Se stemma di
bandiera civica, di cui, pare, si voglia fornire il corpo delle nostre
guardie municipali. Sull'origine del quale stemma gli autori ne hanno
dette di tutti i colori, il che sarebbe già assai facilmente presumibile,
se non ne avessimo pure la conferma in quanto ne scrisse Bartolo-
meo Capasso alla pagina 7 del suo Catalogo dell'Archivio municipale
di Napoli e in un breve cenno pubblicato su quest'argomento da
Carlo Padiglione nella Strenna Giannini del 1893. Ma nè il Capasso,
nè il Padiglione, nè altri ch'io sappia ha indagato mai per farci sa-
pere quale sia l'esemplare più antico dello stemma della città, che ci
sia stato conservato. Io suppongo che nell'archivio municipale si trovi
in fondo a qualche documento antico il sigillo, distinto con lo stemma
del Comune; sventuratamente è morto il Capasso, che conosceva a
menadito quelle carte, e a me manca l'agio d'imprendere all'uopo le
necessarie ricerche. Ma, poiché mi è venuto alle mani un documento
del secolo XV col sigillo della città di Napoli, io cito quello, che po-
trebbe forse essere delle imprese della città il superstite più antico. Il
documento è una carta del dì 31 gennaio 1488, con la quale gli
Electi Civitatis Neapolis (così è sottoscritto) ricorrono per un reclamo
a proposito di gabelle, ed è conservato presso l'Archivio di Stato nel
volume XII degli Autografi aragonesi. Il sigillo, im-
presso su carta attaccata al foglio con cera rossa,
mostra lo stemma municipale, sormontato dalla co-
rona ducale e circondato dalla leggenda. Quei tali
autori che ne dissero di tutti i colori, dissero pure
che la corona è ducale, perchè la città prima di
diventar capitale della monarchia si era retta a du-
cato, e questa volta potrebbe darsi che abbiano
avuto ragione.
Napoli più antico di questo del 1488 non si cono-
Stemma
della città di Napoli.
sca, sarò lieto di averne dato notizia; chè, se di più antichi si sappia
e se di queste cose a te non importi, mi rammaricherò di averti in-
fastidito. — Luigi Volpicella ».
Minacciato deturpamento nella cattedrale di Ca-
NOSA.
La Commissione municipale pei restauri della cattedrale di Canosa
vuole elevare la volta delle navi laterali alla stessa altezza di quella
centrale. Si avrebbe così non solo un caso nuovo nell'architettura re-
ligiosa tradizionale, ma una bruttezza che sarebbe tale in qualsiasi
altro edificio. Le navi laterali, essendo più strette della centrale, deb-
bono essere, volendo conservare l'armonia della costruzione, anche
e proporzionatamente più basse.
Ci s'informa che l'ingegnere Malcangi, che ha molto ben diretto
il ripristino, ha dato parere contrario a tale incredibile progetto; ma
che l'ufficio regionale di Napoli, dietro le solite raccomandazioni e
pressioni politiche, non trovi in sè la forza per negare l'autorizzazione.
Noi ci auguriamo che ciò non sia, e richiamiamo sulla cosa la per-
sonale attenzione del direttore arch. Avena.
Don Fastidio.
DA LIBRI E PERIODICI
Il carme nel quale Pietro da Eboli narrò con calore di partigiano
la fine del regno normanno in Puglia e in Sicilia e l'avvento del do-
minio svevo, dalla morte di Guglielmo II alla nascita di Federico II,
è illustrato nell'unico codice finora conosciuto da una singolare serie
di miniature. Contrariamente all'uso generale e costante, esse non in-
corniciano 0 si inframmettono allo scritto, ma si alternano in fogli
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penetranti, ritrae la tragica agonia di quell'intelligenza, e
con sottile esame psicologico ne cerca ed assegna le lon-
tane e prossime origini.
« Portato naturalmente, e direi quasi, socialmente alla
più diretta, alla più genuina delle osservazioni della na-
tura, Gemito non ha voluto andar più in là della sua os-
servazione oggettiva e immediata e ha creduto che lì si
arrestasse il suo compito artistico. Non ha voluto fino a
quando la fama, che assegna, con un'insistenza esigente,
una quantità di doveri successivi agli artisti, non ha pre-
teso che si piegasse a una concezione lontana dal suo ca-
rattere e dalle sue elezioni l'anima plastica dell'autor della
Zingara e del Filosofo. Quel ch'è balzato da un conflitto
simigliante è noto. Un artista soltanto, il quale davvero
conosca le gioie e i dolori della sua professione, può dire
di questo qualcosa, ch'è la sofferenza inesprimibile, la du-
plice tortura ond'ei si convelle quando l'incitato suo amor
proprio si trova inaspettatamente a battagliare con le sug-
gestioni emulative e quando, ancora, l'orrore ch'egli prova
di sè medesimo al cospetto del suo vano tentativo lo
riempie d'una disperazione sorda e pungente. A fronte
del Carlo V e del Trionfo Gemito non ha sentito se non
l'importanza oppressiva di somiglianti opere, nuove alla
sua semplice e istintiva maniera di concepimento. E de-
gradata a mano a mano in un incubo tormentoso quella
responsabilità fatale ha sviscerato a un tratto le forme più
impressionanti d'una ribellione rattenuta. Forma di un no-
bile orgoglio richiamato dagli autentici e gloriosi successi
dell'arte che Gemito ha davvero sentito e che ha fatto
è forse quella incessante egomania del suo linguaggio vee-
mente: forma della sua repulsione invincibile è forse l'in-
dugio che da quasi due decennii lo trattiene davanti
l'opera interrotta.».
Così il libro del Di Giacomo, ricco di fatti, di notizie,
di documenti e di osservazioni, si chiude con una grande
melanconia di rimpianti. Rimpianto dell'uomo infelice che
da quasi un ventennio non riesce a rompere il suo sogno
ora inerte ora affannoso; rimpianto di una forza creativa
forse spenta per sempre, donde derivarono tante forme di
grazia singolare e di potente bellezza.
Alfredo Catapano.
NOTIZIE ED OSSERVAZIONI
Lo STEMMA DELLA CITTÀ DI NAPOLI.
L'amico L. Volpicella, sotto-archivista nell'Archivio di Stato di
Napoli, ci scrive:
« Caro don Fastidio,
« A cagione del mio ufficio io sono spesso interrogato sopra cose
blasoniche, e, non è gran tempo, dovetti per questo occuparmi un
pochino anche dello stemma della città di Napoli, in occasione di una
« Se stemma di
bandiera civica, di cui, pare, si voglia fornire il corpo delle nostre
guardie municipali. Sull'origine del quale stemma gli autori ne hanno
dette di tutti i colori, il che sarebbe già assai facilmente presumibile,
se non ne avessimo pure la conferma in quanto ne scrisse Bartolo-
meo Capasso alla pagina 7 del suo Catalogo dell'Archivio municipale
di Napoli e in un breve cenno pubblicato su quest'argomento da
Carlo Padiglione nella Strenna Giannini del 1893. Ma nè il Capasso,
nè il Padiglione, nè altri ch'io sappia ha indagato mai per farci sa-
pere quale sia l'esemplare più antico dello stemma della città, che ci
sia stato conservato. Io suppongo che nell'archivio municipale si trovi
in fondo a qualche documento antico il sigillo, distinto con lo stemma
del Comune; sventuratamente è morto il Capasso, che conosceva a
menadito quelle carte, e a me manca l'agio d'imprendere all'uopo le
necessarie ricerche. Ma, poiché mi è venuto alle mani un documento
del secolo XV col sigillo della città di Napoli, io cito quello, che po-
trebbe forse essere delle imprese della città il superstite più antico. Il
documento è una carta del dì 31 gennaio 1488, con la quale gli
Electi Civitatis Neapolis (così è sottoscritto) ricorrono per un reclamo
a proposito di gabelle, ed è conservato presso l'Archivio di Stato nel
volume XII degli Autografi aragonesi. Il sigillo, im-
presso su carta attaccata al foglio con cera rossa,
mostra lo stemma municipale, sormontato dalla co-
rona ducale e circondato dalla leggenda. Quei tali
autori che ne dissero di tutti i colori, dissero pure
che la corona è ducale, perchè la città prima di
diventar capitale della monarchia si era retta a du-
cato, e questa volta potrebbe darsi che abbiano
avuto ragione.
Napoli più antico di questo del 1488 non si cono-
Stemma
della città di Napoli.
sca, sarò lieto di averne dato notizia; chè, se di più antichi si sappia
e se di queste cose a te non importi, mi rammaricherò di averti in-
fastidito. — Luigi Volpicella ».
Minacciato deturpamento nella cattedrale di Ca-
NOSA.
La Commissione municipale pei restauri della cattedrale di Canosa
vuole elevare la volta delle navi laterali alla stessa altezza di quella
centrale. Si avrebbe così non solo un caso nuovo nell'architettura re-
ligiosa tradizionale, ma una bruttezza che sarebbe tale in qualsiasi
altro edificio. Le navi laterali, essendo più strette della centrale, deb-
bono essere, volendo conservare l'armonia della costruzione, anche
e proporzionatamente più basse.
Ci s'informa che l'ingegnere Malcangi, che ha molto ben diretto
il ripristino, ha dato parere contrario a tale incredibile progetto; ma
che l'ufficio regionale di Napoli, dietro le solite raccomandazioni e
pressioni politiche, non trovi in sè la forza per negare l'autorizzazione.
Noi ci auguriamo che ciò non sia, e richiamiamo sulla cosa la per-
sonale attenzione del direttore arch. Avena.
Don Fastidio.
DA LIBRI E PERIODICI
Il carme nel quale Pietro da Eboli narrò con calore di partigiano
la fine del regno normanno in Puglia e in Sicilia e l'avvento del do-
minio svevo, dalla morte di Guglielmo II alla nascita di Federico II,
è illustrato nell'unico codice finora conosciuto da una singolare serie
di miniature. Contrariamente all'uso generale e costante, esse non in-
corniciano 0 si inframmettono allo scritto, ma si alternano in fogli