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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 14.1905

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Nr. 11
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Dall'Osso, Innocenzo: La Napoli greco-romana: di B. Capasso e la pianta topografica del De Petra
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https://doi.org/10.11588/diglit.71025#0177

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apoli nobilissima

RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

Vol. XIV.

Fasc. XI.

LA NAPOLI GRECO-ROMANA (*)
DI B. CAPASSO
e la pianta topografica del De Petra
Il Capasso, fin da quando, nel 1855, affrontò il diffi-
cile problema del sito di Napoli e di Palepoli, aveva am-
mannito un copioso apparato di notizie sulla topografia di
Napoli antica e sui suoi principali monumenti. Di tale
prezioso materiale, che venne sempre più accrescendo con
pazienti ricerche nei documenti d'archivio e con accurato
e minuzioso controllo d'ogni scoperta fortuita sul posto di
trovamento, egli si valse per comporre un'opera per quanto
possibile completa intorno all'iconografia di Napoli greco-
romana, con un'illustrazione storica di ogni suo monu-
mento. Il lavoro era quasi condotto a termine, mancan-
dogli soltanto l'ultima mano di revisione del testo e col-
lazione delle note, quando il Capasso fu colto dalla morte.
Prima però di avviarsi al gran passo, a' suoi scolari e colle-
ghi della Società di storia patria, raccoltiglisi intorno, con
frasi commoventi affidò il prezioso manoscritto, ottenendo
da loro la promessa che, solo dopo averlo con amorevoli
cure riveduto e migliorato, lo avrebbero licenziato alle
stampe. La promessa fu dagli amici ampiamente mante-
nuta, e il libro del Capasso è uscito da breve tempo alla
luce in bella veste tipografica, corredato di sedici illustra-
zioni, a cura di questa Società di storia patria.
L'incarico della revisione e riforma del testo, desiderata
dal Capasso e giudicata indispensabile dagli amici di lui,
fu affidata per unanime consenso al prof. Giulio de Petra,
il quale lo adempì con vero intelletto d'amore e con quella
genialità e profondità di dottrina, che tutti gli riconoscono.

(*) Del libro del compianto Capasso, elaborato dal prof. De Petra,
fu dato già un esattissimo riassunto nel fascicolo di luglio 1905 di
questa rivista (pp. 97-101). Per l'importanza dell'argomento, accoglia-
mo questo scritto, che inizia anche la discussione su alcuni punti del-
l'opera.
(Nota della Redazione).

Il Capasso, per dare al suo libro una forma popolare ed
avere l'opportunità d'intercalare alla descrizione dei mo-
numenti ricordi e considerazioni sulle costumanze e sulla
vita antica, amò di fingersi un mistagogos o cicerone del-
l'epoca classica che accompagna un forestiero di fresco
sbarcato a Napoli in una escursione per la città e gliene
spiega i costumi, la vita, i monumenti. Ebbe il Capasso
una chiara visione del mondo antico, una profonda cono-
scenza di esso, di modo che il compagno delle sue pere-
grinazioni si sente penetrato da un soffio di vita antica e
che lo mette in grado di sentirne tutta l'irresistibile at-
trattiva e apprezzarne le seducenti bellezze. Sono invero
mirabili per efficacia rappresentativa e per dovizia di par-
ticolari le splendide descrizioni che egli fa della vita del
popolo greco, dei liberi tempi, nel porto, nel foro, nelle
stoa, nei comizi, nelle terme e sopratutto nel ginnasio e
nel teatro. Furono il ginnasio e il teatro che resero in-
signe Napoli agli occhi del mondo antico, richiamando in
essa i forestieri che accorrevano da ogni parte per godere
di quei magnifici spettacoli. Come è noto, i ludi agoni-
stici di Napoli gareggiavano con le feste sacre di Olim-
pia e coi giuochi capitolini di Roma. E proprio nei suoi
ultimi tempi toccò aH'illustre vegliardo la gioia ineffabile
di vedere ricomparire in luce la più preziosa gemma delle
iscrizioni napoletane, i cataloghi ieronici, ossia le tavole
agonistiche di marmo, appese alle pareti del Ginnasio,
in cui erano registrati i nomi dei vincitori dei singoli
certami.
Trattando del teatro, il Capasso ricorda la data memora-
bile, in cui l'imperatore Claudio, con la rappresentazione
delle sue commedie, guadagnò la corona d'oro, cinto della
quale, nell'imperiale paludamento, si compiacque di mo-
strarsi al popolo; e gli spettacoli neroniani, in cui l'impe-
ratore stesso, in abito di citaredo, si presentò sulla scena
cantando le sue composizioni, applaudite da migliaia di
voci giovanili con misurate cantilene, e da un coro di
cinquemila plebei con caratteristici istrumenti, detti bombi,
embrici e cocci, di cui possiamo avere un'immagine nella
 
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