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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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torno, ricorre un grosso toro di marmo bianco rivolto in
su a dente, sul quale ha principio e si estolle una enorme
base formata pur di grandi pietre di marmo.
Alla sommità della base un altro toro più piccolo so-
stiene un sodo di marmo, sul quale sono incise quattro
iscrizioni in lettere franco-galliche.
La prima, dal lato di mezzogiorno, ricorda che la chiesa
fu fatta edificare nel 1310, e dotata di molti beni dal buon
re Roberto e dalla pietosa regina Sancia.
La seconda, ad occidente, dice che la chiesa fu finita
di costruire nel 1328, e coverta di lastre di piombo, e
che nel 1330, da papa Giovanni XXI, le furono concesse
tutte le indulgenze, che godono i Minimi di S. Francesco.
La terza, ad oriente, narra la consacrazione della chiesa
fatta nel 1340 con pompa solenne, e con l’intervento di
dieci prelati, cioè gli arcivescovi di Brindisi, di Bari, di
Trani, di Amalfi, di Consa, ed i vescovi di Castellam-
mare, di Vico, di Melfi, di Boiano e di Muro.
La quarta ed ultima, dalla parte di tramontana, rende
noto che alla sacra funzione intervennero il re, la regina
ed altri illustri personaggi reali.
Una cimasa corona il sodo delle accennate iscrizioni,
ed indi il primo ordine di stile toscano s’inizia con quat-
tro immensi finestroni ai quattro lati con curva di volta
arditamente girata. A questo primo sormonta il secondo
di stile dorico, e poi il terzo di stile ionico. Ogni ordine
ha la sua cornice lavorata con gusto di arte eccellente.
Fu cominciato a fabbricare, come accertano i più anti-
chi ed autorevoli scrittori, nel gennaio 1328, cioè nello
stesso anno in cui si coprì con lamine di piombo il tetto
della chiesa. Ma, per la morte di re Roberto, dopo quin-
dici anni di lavoro, fu dovuto sospendere, e rimase in-
completo, « fin alla terza parte » come scrive il Sum-
monte, o « fin alla prima parte » come stampa il d’Eu-
genio (0.
E l’affermazione dell’uno e quella dell’altro, sta nel vero;
avendo, forse, il primo compreso nelle due prime parti
la base; ed il secondo, escludendone questa, i due soli
piani superiori.
Tempi tristi e dolorosi seguirono alla morte di Roberto,
ed il campanile rimase, come si trovava, a quest’epoca,
incompleto. Esso allora, come molte indagini dan ragione
di credere, non presentavasi al riguardante come oggi si
vede, e come di su ho tentato sommariamente di de-
scrivere; ma era, come la chiesa, di gotica architettura.
L’ignoto artefice che l’ideò, non ebbe il piacere di ve-
derlo compiuto.

(1) Summonte, Historia, ecc., t. Il, p. 373; d’Engenio, Napoli sa-
cra, t. I, p. 235.

Nè può, per avventura, supporsi essere stato quel Ga-
gliardo primario, che fu ingegnere della chiesa, perchè
quest’altro titolo di onore non sarebbe stato taciuto nella
iscrizione, che pur nel 1623, come afferma il d’Engenio,
leggevasi in S. Chiara, sul sepolcro di lui l1).
Altronde nè il Villano, nè il Summonte e nè il d’Engenio
istesso fanno il nome di quest’architetto; e tacciono pure
quello che, per verità, avrebbero potuto dire, perchè lo
vedevano coi propri occhi, cioè, con quale ordine di ar-
chitettura questo campanile era costruito.
L’omisero; e fortuna, se il Summonte ci fece sapere
che ai tempi in cui scriveva « si va continuando con gran
preparamenti di marmi... » ed il d’Engenio che « mentre
questo scriviamo tuttavia si va riducendo a fine (2) ». E
l’uno scriveva verso la fine del 1500, e l’altro ai princìpii
del secolo appresso, appunto quando la fabbrica, abbando-
nata per tanto tempo, si ripigliava.
Quest’affermazione è provata esatta dai seguenti docu-
menti nuovi che pubblico: Ai 23 ottobre 1595 il banco
Mari paga a Giovan Jacopo Capocefalo due. 20, « et per
« lui a Minico et Fulco Catanei padre et figlio a bon
« conto di uno funicelle che hanno da fare di canni cento
« longo tutto de filato de lino de cannavo spontato et
« torto et fatto di tutta perfetione a sodisfatione sua a
« ragione di due. 20 lo cantaro ». Questo canape di cento
canne doveva servire « per alsare le petre di marmore al
« campanile de S.ta Chiara ».


Veduta del cortile di S. Chiara

(da stampa).

I due Catanei, poi che il lavoro urgeva, dovettero ob-

bligarsi « in solidum

de consignarcelo in lo cortiglio di

(1) Stava sul suolo appresso la porta piccola, e diceva così: ftic
iacet corpus Magistri Galiardi primari] de Neap. Protomagistri Reginalis
monasterij Sacri Corporis Christi de Neap. qui obijt anno Domini 1348,
mensis Martij primae Ind., t. I, p. 246. Primario, vale architetto, costrut-
tore; intorno a questo titolo presso i napoletani v. un articolo del eh.
comm. Carlo Padiglione, nella Strenna Giannini, anno III, p. 141.
(2) Summonte, d’Engenio, l. c.
 
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