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Napoli nobilissima — 3.1894

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148

NAPOLI NOBILISSIMA

Ristori era « una valentissima attrice, di bella figura, di
« squisito sentire, di perfetta pronunzia e merita, giusta-
« mente l’altissima fama che si è procacciata » — stilla
poi, pei crescenti applausi, il veleno, e se la piglia col
complesso della compagnia, col vestiario, con l’addobbo
delle scene, e non risparmia la direttrice istessa, che « si
« fonda molto su di alcuni quadri che diconsi plastici, che
« hanno più del mimico che del drammatico » I1).
Alla seconda venuta della compagnia Ristori in Napoli
le cose andarono diversamente. Si era avuto l’opportunità,
malgrado gli sforzi erculei del Diorama, di rendere tutti
i napoletani amanti di prosa, fiorentiniani; e la platea ed
i palchi del Fondo restavano vuoti le sere di recita, e la
Compagnia, poi che le spese superavano gl’introiti, stava
sulle mosse di partire, quando Domenico Bolognese, buon
letterato e poeta, socio Pontaniano, ottenne, in favore,
dalla Ristori di rappresentare un suo componimento bi-
blico dal titolo: Noemi o la figlia di Caino.
Apriti o cielo; la bellezza dei costumi adamitici, l’abi-
lità stupenda dell’artista, che non aveva avuto — secondo
dicevano i malevoli — il tempo di studiare accuratamente
nello specchio, ogni posa, ogni movenza, ogni minima
alzata di braccio, ogni sorriso, ogni pianto, ogni singulto
— attirò un subbisso d’ applausi a non finire, tanto che
la vòlta sorda del teatro parve addivenire chiara, armo-
niosa, limpidissima.
Caino lo rappresentava Maieroni: Maieroni, l’artista ele-
gante che pochi anni più tardi rese il Fondo il più sfar-
zoso teatro d’Italia. Egli fece società con l’impresario del
Sebeto (2), Falanga, che aveva a furia di centinaia e centi-
naia di rappresentazioni di drammi briganteschi, sangui-
nolenti e paurosi, come Duomo di ferro, Antonio Saetta,
Bruno barba di capra, Beppe Mastrillo, Provvidenza e buona
speranza, ed altri — di autori popolari, ai quali non man-
cava la conoscenza della scena, e sapevano con i fatti truci
ed i paroioni toccare il cuore dei frequentatori del luogo
— accumulate centinaia di migliaia di piastre.
Il teatro, nella miglior maniera e con eleganza ripulito,
la sera di domenica 28 febbraio 1864 si aprì inaugurando
le recite di appalto col dramma di Leone Fortis, Cuore
ed arte o Gabriella di Teschen, cavallo di battaglia, come
si dice in gòrgo di palcoscenico, della signora Fanny Sa-
dowski. Il pubblico accorse numeroso, applaudì moltissimo,

(1) Il Teatro, giornale letterario teatrale, anno I, n. 27.
(2) Ora demolito. Era posto in linea del teatro del Fondo e in
angolo all’isolato Girella. L’ingresso alla platea era di fronte alle fos-
sato di Castelnuovo; quella dei palchi dal lato d’Oriente sulla via di
Porto, e quella del palcoscenico dall’altro lato dell’isolato Girella, cioè
nella via S. Marco ai ferraci. Tutto lo spazio che occupava questo
teatrino, fu già nei tempi viceregnali occupato da un posto di soldati
spaglinoli detto la Guardiola.

e restò soddisfatto, perchè il teatro si era fatto elegante.
Ma le centinaia di migliaia di piastre dette di sopra, per
il lusso smodato dello scenario, e della mobilia sfarzosa
del palcoscenico, per la bellezza e ricchezza degli abiti
non solo degli attori, ma anche delle comparse, per la paga
favolosa degli artisti, tra i quali splendevano, astri fulgidi,
la Sadowski, Maieroni, Taddei, Bozzo e Vestri, per i fiori,
belli e sceltissimi, che ogni sera l’impresario regalava alle
signore dei palchi di prima e di seconda fila, per i pranzi
squisiti ed abbondanti, e per lo sciampagna che si beveva
senza contar le bottiglie, le centinaia di migliaia di piastre
sparirono, la società fallì, ed il teatro fu chiuso.
Falanga tornò al Sebeto, ma i tempi erano mutati e la
fortuna andata via. Maieroni girò per l’Italia. Lo rividi
d’inverno a Roma, molti anni appresso le sparite gran-
dezze; era malato e sofferente. Fioccava la neve, ed egli,
il più elegante e ricercato galantuomo per gli abiti, si av-
volgeva in un misero e leggiero tabarro che aveva, per
garentirsi dal freddo, foderato di un vecchio manto di
porpora. Gli era forse servito quando, superbo per l’alta
e ben formata sua persona, rappresentava un re, o pur
chi sa, nel dramma spettacoloso condito di musica, canto
e ballo: Un santo ed un Patrizio?
Vincenzo d’Auria.

DI ALCUNI QUADRI
DI SCUOLA PARMIGIANA
conservati nel R. Museo Nazionale
di Napoli

IL
Ed ora passiamo ai Mazzola.
Il Museo di Napoli è forse il luogo dove si trova il
maggior numero dei dipinti di questa celebre famiglia di
pittori. Esso, ad esempio, conta diverse pitture del Parmi-
gianino, quando la R. Pinacoteca di Parma non ha di lui
che pochissime cose.
I vecchi Mazzola sono rappresentati da un’importante
tavola di Filippo, alta 1,38, larga 1,68, segnata « filipus
mazolla pinxit 1500 ». La Pinacoteca di Parma ha una sua
tavola del 1491, ma rovinatissima. Quella di Napoli in-
vece è discretamente conservata.
Cristo deposto giace sulle ginocchia della Madre che
siede sull’orlo d’un’arca scoperchiata di marmo rosso ve-
ronese. D’innanzi a Gesù sta inginocchiata S. Maria Mad-
dalena, a braccia aperte, con capelli biondi diffusi sulle
spalle. Intorno assistono dolorosamente alla scena San Pia-
 
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