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Napoli nobilissima — 3.1894

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Napoli nobilissima


RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
Voi. III. Fasc. XII.

SOMMARIO.
L’agonia di una strada. B. Croce.
Di alcune opere d’arte conservate negli Ospedali, Orfa-
notrofi! ed Ospizii di mendicità di Napoli. R. Carafa.
La Reai Fabbrica di porcellane in Napoli durante il re-
gno di Ferdinando IV. L. de la Ville sur-Yllon.
Ancora dei quadri del Parmigianino nel Museo Nazio-
nale (Nota all’articolo di C. Ricci). V. Spinazzola.
Napoli nelle descrizioni dei poeti. Le stanze del Fusca-
no. IL B. Cr.
Notizie ed osservazioni. Don Fastidio.
Da libri e periodici. Don Ferrante.
-v- —i—i—*—i—«—i-i—»-i—»—(—«—i—
L’AGONIA DI UNA STRADA

i.
Sarà un’agonia, più o meno lenta, forse lentissima;
ma l’antica strada di Porto è in agonia. Le nuove costru-
zioni del Risanamento si avanzano implacabili, e già ne
hanno distrutto e assorbito uno dei capi, e sulle rovine
si è assisa la nuova Piazza Garibaldi o della Borsa, o
come altro la chiameranno. Affrettiamoci a dare un ulti-
mo sguardo di saluto al pezzo, che ancora si divincola
semivivo. La vita del popolino napoletano — argomento
di tanta rettorica scipita nel periodo romantico, e di tante
buone descrizioni realistiche nella letteratura contempo-
ranea — in pochi luoghi come in questo appare con
un’espressione così intensa e caratteristica.
Una doppia fila di case altissime, sudicie, slabbrate, coi
balconi tutti adorni di poponi, di grappoli di sorbe, di
peperoni rossi, di pomidori, di gabbie d’uccelli, con lun-
ghe pertiche sporgenti che sventolano come bandiere il
bucato fatto in famiglia, con le inferriate coperte anch’esse
di camicie e calzoncelli e pezzuole e fasce; una’serie fitta
fitta di botteghe, caffè, saloni, farmacie, tabaccherie, zaca-

rellari, venditori di commestibili, e, quasi prolungamento
delle botteghe, i banchi e i trofei dei macellai, dei salu-
mieri, dei fruttivendoli, dei tavernari, dei maccheronari,
dei castagnari, dei cantinieri, dei pizzaiuoli; un ingombro
di carretti carichi di ortaggi, di frutti, di cipolle, di mela-
grane semiaperte e rosseggianti; un rimescolarsi di gente
malvestita, marinai col berretto color tabacco a foggia di
calza arrovesciata, vecchi e fanciulli con la testa coverta
di un zucchetto rosso, e qua e là, in pose gravi, donne
ferme e intente a far la calza, e qualche testa femminile
dalle trecce e dagli occhi neri (se ne trovano ancora nella
realtà, malgrado che sieno divenute convenzionali in lette-
ratura!) nell’oziosità della civetteria giovanile; un gridìo
confuso, un miscuglio di voci, tra le quali si levano più
acute e insistenti le voci d’invito dei venditori: qualche
cosa, insomma, che brulica e che strepita, colori male
impastati e suoni indistinti; ecco la turbinosa impressione
che fa all’occhio e all’orecchio la strada di Porto.
Ma non è necessario che io vi conduca ad ammirare,
a pezzo a pezzo, un simile spettacolo. Veduto nei parti-
colari, è il solito apparato della vita e del commercio
della plebe napoletana. E a me parrebbe di far qualche
cosa di simile a quei venditori di figurini di creta dipinta
pel presepe, se vi tirassi fuori ad una ad una, dalla solita
cesta, la descrizioncella dello smercio di paste, con le botti,
le casse e le sporte, piene di maccheroni d’ogni dimen-
sione, dai più fini vermicelli, ai più grossi cannaroni, di
paste d’ogni forma, stellucce, anelletti, stivaletti, una ter-
minologia infinita, e sopra ogni botte, ogni sporta, ogni
cassa, un cartello con un numero variopinto che indica
il prezzo dei tanti centesimi a chilo. Ovvero, la descri-
zioncella del fruttivendolo, con le sue tavolette coverte di
poveri piattelli bianchi, rigati d’azzurro, contenenti in grup-
petti, ciascuno, tre pere, tre pesche, quattro mele, un grap-
polo d’uva. Ovvero, quella del tavernaro, col soffritto un-
 
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