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Napoli nobilissima — 3.1894

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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e Pignora pure il Fiorimo I1). Dovettero, probabilmente,
essere gli stessi, che nella seconda opera dell’estate, nella
terza d’autunno e nella quarta d’inverno, l’intero anno
teatrale, cantarono II barbiere d’ Arpino, di poeta anonimo,
musicato dal m. Angelo Tardai, Il geloso sincerato del Lo-
renzi, con musica del m. Monti, ed I matrimonii per in-
ganno su parole di Giuseppe Palomba e musica di Giu-
seppe Curci.
continua.
Vincenzo d’Auria.

IL PALAZZO PENNA

Fu edificato nel 1406, come si legge nell’ epigrafe che
è sull’ingresso. Poche costruzioni napoletane serbano, come
questa, un carattere tanto spiccato del tempo in cui furono
elevate e della famiglia alla quale servirono di dimora. Le
aggiunte posteriori, l’essere stata per un secolo adattata a
convento ed ora in gran parte ad abitazione di popolani,
non sono riusciti a cancellarlo.
La piccola facciata del vestibolo, prospiciente sulla piaz-
zetta di S. Demetrio, è l’opera più geniale, nel suo ge-
nere, che ci rimanga del periodo durazzesco, nel quale la
nostra architettura civile ebbe in certo modo una fisono-
mia propria. Coverta da piccole bugne di pietra rettangolari
e coronata da un cornicione, anch’esso a bugne, sostenuto
da archetti acuti, la facciata contiene una sola apertura
che è il portone d’ingresso. Questo ha la forma, solita in
quel periodo, di un arco depresso iscritto in un rettan-
golo circondato da modonature e portante negli angoli le
armi dei Penna. In esso il marmo bianco si alterna col
rossiccio portasanta, e sulla fascia è rilevato elegantemente
un nastro su cui sono incisi questi versi di Marziale:
Qui ducis vultus nec aspicis ista libenter
Omnibus invideas invide nemo tibi.
Sulla cornice poggia la lapide con questa iscrizione:
XX ANNO REGNO
REGIS LADISLAI
SUNT DOMUS HEC FACTE
NULLO SINT TURBINE FRACTE
MILLE FLUUNT MAGNI
BISTRES CENTUMQUATER ANNI
e con l’arme di casa Durazzo, testimonianza di devozione
verso il sovrano e insieme del favore accordato da que-
sto. La corona reale è riprodotta sul secondo ordine delle

(1) Francesco Florimo, La scuola musicale di Napoli, ecc., voi. IV,
P- 346-

bugne del cornicione, e le tre parti dell’arme sono scol-
pite alternatamente sulle bugne del primo ordine. L’ele-
mento principale poi, il giglio angioino, è anche sparso
sulle bugne del basamento, sulle quali, in tre ordini sol-
tanto, è pure scolpita la penna, insegna che esprime nello
stesso tempo il casato e l’ufficio del fondatore. Un soffitto
di grosse travi coverte da tegoloni sporgeva sul grazioso
edificio, che formava all’interno, un solo camerone. Se-
guiva, come al presente, il cortile, che aveva a sinistra
un’ampia stalla capace di sedici cavalli, e dirimpetto all’en-
trata il corpo principale del fabbricato.
Ed è qui che si rivela a pieno l’industria dell’architetto
e l’indole della famiglia Penna. Venuta su ai tempi di re
Roberto e Giovanna I col celebre giureconsulto Luca, che
aveva preso il cognome dalla terra natale, s’era mantenuta
nei principali offici durante il regno di Ladislao, e Anto-
nio de Penna, fondatore di questo palazzo, era appunto
suo segretario e consigliere. Uomo di toga, egli mirò a
rendere comoda e ben aerata la sua abitazione, piuttosto
che a costruire un ostello signorilmente imponente. Il
suolo da lui scelto degradava con forte pendìo verso il
mare, e confinava ad occidente collo stretto vicolo di
S. Barbara. Per quanto si fosse elevato grandemente il
basamento, ricavandone delle vaste cantine, pure il primo
piano venne a trovarsi un po’ al di sotto del livello della
piazzetta di S. Demetrio. Fu ottimo consiglio perciò di
allontanarlo da questa mercè del vestibolo e del cortile, e
di circondarlo dal lato di oriente con un maestoso porti-
cato adorno di statue e con un ameno giardino piantato ad
agrumi e allietato da fontane. Quattro grandi camere danno
nel porticato, le loro porte divise da una croce conservano
tuttora, per quanto in cattivo stato, le belle modanature
rilevate nel tufo. In fondo era un altro appartamento di
varie camere, che davano in un altro cortile e in una
scala, per la quale si scendeva in un atrio adorno anch’esso
di fontane e di una vasca di marmo, e che metteva nel
pennino di S. Barbara.
Si accedeva al secondo piano dal cortile principale per
una bella scalinata di piperno allo scoverto, che finiva in
una terrazza circondata da balaustre di piperno d’onde si
entrava in una gran sala e ai vari appartamenti (T). Apparten-
gono a questo secondo piano le finestre che danno sul vi-
colo di S. Barbara. Poggiano esse sulla cornice che termina
l’alto basamento ed hanno ad un di presso la forma delle
finestre del palazzo Cuomo, costruzione, come è noto, po-
steriore di più di mezzo secolo. La loro spaziosa apertura

(1) Per ricostruire alla meglio l’antico stato del palazzo mi son
giovato di una perizia fattane nel 1662 da Giuseppe Gallerano tavo-
lario del S. R. C. e da me trovata nelle carte di S. Demetrio, fascio
4091 dei Monasteri soppressi all’Archivio di Stato.
 
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